Condurre una battaglia delle idee per sottrarre le classi popolari all’ideologia dominante e conquistare il potere. Citata frequentemente ma letta di rado e molto spesso usata impropriamente, l’analisi che Antonio Gramsci sviluppa durante la prigionia nelle carceri fasciste all’inizio degli anni 1930 è di fronte a un nuovo successo. Dall’Europa all’India, passando per l’America latina, i suoi scritti circolano e arricchiscono il pensiero critico.
Le Monde Diplomatique | Autore: RAZMIG KEUCHEYAN *
PERCHÉ
quel che è stato possibile nel 1917 in Russia, ossia una rivoluzione
operaia, è fallito in ogni altro posto? Com’è possibile che allora il
movimento sia stato sconfitto negli altri paesi europei – in Germania,
in Ungheria, ma anche nell’Italia dei «consigli di Torino», quando per
diversi mesi, tra il 1919 e il 1920, gli operai del nord del paese
occupavano le proprie fabbriche?
Questa domanda è il punto di partenza dei celebri Quaderni del carcere(1) di Antonio Gramsci, il quale, giovane rivoluzionario alle prime armi, si era formato nell’esperienza torinese. Scritta a breve distanza dal riflusso di quel processo, quest’opera fondamentale del XX secolo consegna una meditazione profonda sul fallimento delle rivoluzioni in Europa, e sul superamento della sconfitta del movimento operaio degli anni ’20 e ’30. Tre quarti di secolo dopo la morte di Gramsci, continua a stimolare quanti non hanno rinunciato a trovare le strade per un altro mondo possibile. Stranamente, stimola anche a chi si ostina a impedire l’avvento di questo altro mondo. «In fondo, ho fatto mia l’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee. È la prima volta che un uomo di destra affronta la responsabilità di questa battaglia», dichiarava Nicolas Sarkozy a pochi giorni dal primo turno dell’elezione presidenziale del 2007 (2).
Questa domanda è il punto di partenza dei celebri Quaderni del carcere(1) di Antonio Gramsci, il quale, giovane rivoluzionario alle prime armi, si era formato nell’esperienza torinese. Scritta a breve distanza dal riflusso di quel processo, quest’opera fondamentale del XX secolo consegna una meditazione profonda sul fallimento delle rivoluzioni in Europa, e sul superamento della sconfitta del movimento operaio degli anni ’20 e ’30. Tre quarti di secolo dopo la morte di Gramsci, continua a stimolare quanti non hanno rinunciato a trovare le strade per un altro mondo possibile. Stranamente, stimola anche a chi si ostina a impedire l’avvento di questo altro mondo. «In fondo, ho fatto mia l’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee. È la prima volta che un uomo di destra affronta la responsabilità di questa battaglia», dichiarava Nicolas Sarkozy a pochi giorni dal primo turno dell’elezione presidenziale del 2007 (2).
Il recupero dell’autore dei Quaderni del carcere da parte dell’estrema destra, da cui provenivano alcuni degli stretti consiglieri di Sarkozy – specialmente Patrick Buisson –, è in realtà una storia vecchia. È inoltre un punto di riferimento centrale per la «nuova destra», il cui principale teorico, Alain de Benoist, definisce la sua strategia di «guerra culturale» come un «gramscismo di destra» (3). Tuttavia questa svolta non ha impedito che in tutto il mondo, nel corso del XX secolo, Gramsci fosse oggetto di interessanti reinterpretazioni da parte di correnti rivoluzionarie. Che la rivoluzione sia stata possibile in Russia ma non in Europa occidentale, secondo Gramsci, è da attribuire alla natura dello stato e della società civile. Nella Russia zarista, la maggior parte del potere è concentrato nelle mani dello stato; la società civile – partiti, sindacati, aziende, stampa, associazioni… – è poco sviluppata. La presa del potere in queste condizioni, come nel caso dei bolscevichi, implica innanzitutto che ci si impossessi dell’apparato statale: esercito amministrazione, polizia, giustizia… Essendo la società civile allo stato embrionale, chiunque detenga il potere dello stato è in grado di assoggettarla. Naturalmente le seccature iniziano una volta preso il controllo dello stato: guerra civile, rilancio dell’apparato produttivo, rapporti delicati tra classe operaia e contadina.
Nell’Europa occidentale, al contrario, la società civile è densa e autonoma. Sotto l’effetto della rivoluzione industriale, progressivamente si trasforma in sede della produzione. Detiene un’importante quota del potere totale, per quanto il controllo dello stato non sia sufficiente: è necessario regnare nella società civile ma il problema è che non la si conquista in un unico modo. Questo presuppone che il cambiamento sociale assuma delle forme diverse dal caso russo. Non che le rivoluzioni nell’Europa dell’ovest siano diventate impossibili, al contrario; ma devono inserirsi in una «guerra di posizione» di lungo corso.
Dal peronismo ai «subaltern studies»
GRAMSCI vuole essere fedele alla rivoluzione russa – è un ammiratore di Lenin, cui non smette di rendere omaggio nei Quaderni del carcere.
Ma ha capito inoltre che questa fedeltà implica, in pratica, un
cambiamento nel modo di fare le rivoluzioni. La sua teoria
dell’«egemonia» trova il suo punto di partenza in questa constatazione.
La lotta di classe, dice Gramsci, deve includere una dimensione
culturale; deve porsi la domanda del consenso delle classi subalterne
alla rivoluzione. La forza e il consenso sono i due fondamenti della
direzione degli stati moderni, i due pilastri di un’egemonia. Quando il
consenso viene a mancare – come nel 2011, nel mondo arabo –, si
verificano le condizioni per il rovesciamento del potere. La prima
pubblicazione dei Quaderni del carcere compare alla fine degli
anni ’40. È posta sotto la responsabilità di Palmiro Togliatti,
segretario generale del Partito comunista italiano (Pci), che fino
all’inizio degli anni ’60 mantiene il controllo sulla diffusione degli
scritti del suo defunto compagno (leggere la scheda). Da allora, l’opera
di Gramsci costituisce un punto di convergenza per quanti, nel mondo,
tentano di conciliare fedeltà alla rivoluzione d’Ottobre e volontà di
adattare il processo a dei contesti sociopolitici spesso molto distanti
dal caso russo. Questo spiega la rapida diffusione internazionale delle
tesi di Gramsci, e la nascita di correnti gramsciane nell’insieme del
globo. Possiamo così dire che i Quaderni del carcere sono una
delle prime teorie critiche mondializzate. Tre casi molto diversi fra
loro illustrano questa circolazione. Dalla metà del XX secolo,
l’Argentina diventa la sede di un’importante tradizione gramsciana,
prima di altri paesi del continente, come Brasile, Messico o Cile che
solo in un secondo momento si immergono nello studio dei Quaderni del carcere.
La rapidità e l’estensione della ricezione di Gramsci in Argentina
sono motivate dall’importante immigrazione italiana. Al contempo trovano
radici nei suoi principali concetti – «egemonia», ma anche
«cesarismo» o «rivoluzione passiva» – utilizzati per capire il
peronismo, questo fenomeno tipicamente argentino. Più in generale,
servono ad analizzare i regimi militari «progressisti» o «sviluppisti» –
da Juan Domingo Perón in Argentina, a Lázaro Cárdenas in Messico a
Getúlio Vargas in Brasile – che fanno la loro comparsa nella regione.
Questi poteri attuano delle forme di «modernizzazione conservatrice»,
né rivoluzione né restaurazione, frequenti nel XX secolo nei paesi del
terzo mondo, che si modernizzano mantenendo fondamentalmente invariate
le diseguaglianze di classe. La nozione di «rivoluzione passiva», che
Gramsci elabora nei Quaderni del carcere quando analizza la
formazione dello stato-nazione italiano nel XIX secolo, descrive
esattamente questo tipo di processo politico ambivalente. In alcuni
casi, queste rivoluzioni sono guidate da un «cesare» – da cui l’idea di
«cesarismo» –, ossia da un capo carismatico che crea un legame
immediato con le masse, i cui esempi non mancano nell’America latina del
passato e del presente. Pensatori come José Aricó, Juan Carlos
Portantiero, Carlos Nelson Coutinho o Ernesto Laclau, tra gli altri,
propongono delle interpretazioni innovatrici dei Quaderni del carcere,
la cui influenza si estende ben oltre i confini dell’America latina
(4). Seguendo l'esempio dello stesso Gramsci, molti dei suoi
interpreti maggiori sono impegnati attivamente nella lotta
rivoluzionaria che infuria nel continente tra gli anni ’60 e
’70.All’altro capo del pianeta, le idee dell’intellettuale italiano
raggiungono l’India a partire dagli anni ’60, diventando un importante
riferimento per gli studi postcoloniali (postcolonial studies).
Il principale fondatore di questa corrente, il palestinese Edward Said,
vi ha ricorso per formulare la sua critica all’orientalismo, ossia alle
rappresentazioni dell’«Oriente» in vigore nel mondo occidentale (5).
Sotto l’influenza di Said, ma anche degli storici marxisti britannici
Eric Hobsbawm e E. P. Thompson, negli anni ’70, emerge un settore
specificatamente indiano di studi postcoloniali: gli studi subalterni (subaltern studies).
Il partito degli oppressi
QUESTA
CORRENTE, rappresentata soprattutto da Ranajit Guha, Partha Chatterjee
(6) e Dipesh Chakrabarty, prende il suo nome direttamente da Gramsci.
Infatti, il termine «subalterni» compare nel titolo del quaderno di
prigione n° 25, il cui titolo esatto è «Ai margini della storia (storia
dei gruppi sociali subalterni)». I «margini della storia», ossia i
gruppi sociali assenti dalle storie «ufficiali», ma in grado, quando
entrano in attività, di sconvolgere l’ordine sociale. La circolazione
dei concetti gramsciani dall’Italia di inizio XX secolo all’India degli
anni ’70 si spiega con la somiglianza delle strutture sociali dei due
paesi, e soprattutto con la presenza di un’importante classe contadina.
Nel suo testo del 1926, poco prima dell’incarcerazione, «Alcuni temi
sulla questione meridionale», Gramsci auspica un’alleanza tra la classe
operaia del nord d’Italia, numericamente minoritaria ma economicamente e
politicamente in ascesa, e la classe contadina del sud, ancora molto
numerosa in quest’epoca. I «subalternisti» indiani sostengono lo stesso
tipo di strategia nel loro paese. Una terza corrente affronta i temi
della geopolitica con l’aiuto dei concetti proposti dall’autore dei Quaderni del carcere.
Si presenta sotto la denominazione di teoria «neogramsciana» delle
relazioni internazionali. Il suo fondatore è il canadese Robert Cox, un
marxista innovatore che ha anche occupato ruoli direttivi
nell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) a Ginevra. Kees Van
der Pijl, Henk Overbeek e Stephen Gill, tra gli altri, si inseriscono in
quest’orbita. Questi autori hanno analizzato in particolar modo la
costruzione europea, cercando di comprendere l’attuale crisi(7). Da un
lato, ai loro occhi è da attribuire all’incapacità del progetto europeo
di ottenere il consenso attivo delle popolazioni continentali. Perché si
instauri un’egemonia duratura, su scala nazionale o continentale, i
dominanti devono convincere i dominati che questa favorisce almeno in
parte i loro interessi. Del resto, dall’inizio del XX secolo, si assiste
a una crescente compenetrazione delle élite europee e americane. Per
questa ragione la costruzione europea è stata spesso subordinata agli
interessi dell’impero americano, impedendo la formazione di un progetto
politico autonomo.
Gramsci ha continuato a partecipare alla costruzione del «partito degli oppressi», sia nel contesto italiano sia anche in quello mondiale, attraverso le sue attività nella III Internazionale, unendo quindi la teoria alla pratica, cosa molto rara – purtroppo – per gli intellettuali critici di oggi.
Gramsci ha continuato a partecipare alla costruzione del «partito degli oppressi», sia nel contesto italiano sia anche in quello mondiale, attraverso le sue attività nella III Internazionale, unendo quindi la teoria alla pratica, cosa molto rara – purtroppo – per gli intellettuali critici di oggi.
*
Professore di sociologia all’università Paris-Sorbonne (Paris-IV);
curatore dell’antologia di testi di Antonio Gramsci Guerre de mouvement
et guerre de position, La Fabrique, Parigi, 2012.
(1) I Quaderni del carcere
di Antonio Gramsci sono pubblicati in un primo tempo, tra il 1948 e il
1951, in sei volumi suddivisi per argomenti, per essere riuniti in
un’edizione critica curata da Valentino Gerratana pubblicata da Einaudi
nel 1975.
(2) Le Figaro, Parigi, 17 aprile 2007.
(3) Cfr. Pierre-André Taguieff, «Origines et métamorphoses de la nouvelle droite», Vingtième Siècle, n° 40, Parigi, 1993.
(4) Cfr. Raúl Burgos, Los gramscianos argentinos, Siglo XXI, Buenos Aires, 2004.
(5) Edward Said, L’Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 (Feltrinelli, 1999 e successive edizioni).
(6) Leggere Partha Chatterjee, «Accese discussioni in India sulla storia coloniale», Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2006.
(7) Cfr. per esempio Henk Overbeek e Bastiaan Van Apeldoorn (dir.), Neoliberalism in Crisis, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2012.
(Traduzione di A.C.)
Al servizio della rivoluzione
NATO IN
SARDEGNA nel 1891, Antonio Gramsci cresce in una famiglia relativamente
povera. Dopo aver ottenuto nel 1911 una borsa per proseguire i suoi
studi in filologia a Torino, incontra Palmiro Togliatti, Angelo Tasca e
Umberto Terracini. Insieme, militano nel Partito socialista italiano
(PSI), prima di creare nel 1919 il mitico giornale operaio L’Ordine
Nuovo. Alla fondazione del Partito comunista italiano (Pci), nel 1921,
Gramsci diventa membro del comitato centrale; è nominato segretario
generale nel 1924. Nell’aprile dello stesso anno, è eletto deputato in
parlamento. Si racconta che, quando Gramsci prendeva la parola
nell’emiciclo con la sua fievole voce, Benito Mussolini stesse con
l’orecchio teso per non perdere nulla dei discorsi di questo
irriducibile oppositore.
Arrestato
nel novembre 1926 a Roma, Gramsci è condannato nel 1928 a vent’anni di
prigione. «Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di
funzionare», dirà il pubblico ministero fascista concludendo la sua
requisitoria, consapevole della minaccia che un simile avversario
rappresentava per il potere. Nel 1929, Gramsci ottiene il diritto di
scrivere in prigione, diritto che esercita fino al 1935, momento in cui
la sua salute peggiora irrimediabilmente. Muore il 27 aprile 1937 di
emorragia cerebrale, dopo dieci anni di calvario nelle prigioni di
Mussolini, lasciando dietro di sé un insieme di quaderni incompiuti che
stravolgeranno il marxismo della seconda metà del XX secolo.
R. K.
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