martedì 14 agosto 2012

Gramsci, un pensiero che diventa mondo

Condurre una battaglia delle idee per sottrarre le classi popolari all’ideologia dominante e conquistare il potere. Citata frequentemente ma letta di rado e molto spesso usata impropriamente, l’analisi che Antonio Gramsci sviluppa durante la prigionia nelle carceri fasciste all’inizio degli anni 1930 è di fronte a un nuovo successo. Dall’Europa all’India, passando per l’America latina, i suoi scritti circolano e arricchiscono il pensiero critico.

 Le Monde Diplomatique | Autore: RAZMIG KEUCHEYAN *
PERCHÉ quel che è stato possibile nel 1917 in Russia, ossia una rivoluzione operaia, è fallito in ogni altro posto? Com’è possibile che allora il movimento sia stato sconfitto negli altri paesi europei – in Germania, in Ungheria, ma anche nell’Italia dei «consigli di Torino», quando per diversi mesi, tra il 1919 e il 1920, gli operai del nord del paese occupavano le proprie fabbriche?
Questa domanda è il punto di partenza dei celebri Quaderni del carcere(1) di Antonio Gramsci, il quale, giovane rivoluzionario alle prime armi, si era formato nell’esperienza torinese. Scritta a breve distanza dal riflusso di quel processo, quest’opera fondamentale del XX secolo consegna una meditazione profonda sul fallimento delle rivoluzioni in Europa, e sul superamento della sconfitta del movimento operaio degli anni ’20 e ’30. Tre quarti di secolo dopo la morte di Gramsci, continua a stimolare quanti non hanno rinunciato a trovare le strade per un altro mondo possibile. Stranamente, stimola anche a chi si ostina a impedire l’avvento di questo altro mondo. «In fondo, ho fatto mia l’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee. È la prima volta che un uomo di destra affronta la responsabilità di questa battaglia», dichiarava Nicolas Sarkozy a pochi giorni dal primo turno dell’elezione presidenziale del 2007 (2).

Il recupero dell’autore dei Quaderni del carcere da parte dell’estrema destra, da cui provenivano alcuni degli stretti consiglieri di Sarkozy – specialmente Patrick Buisson –, è in realtà una storia vecchia. È inoltre un punto di riferimento centrale per la «nuova destra», il cui principale teorico, Alain de Benoist, definisce la sua strategia di «guerra culturale» come un «gramscismo di destra» (3). Tuttavia questa svolta non ha impedito che in tutto il mondo, nel corso del XX secolo, Gramsci fosse oggetto di interessanti reinterpretazioni da parte di correnti rivoluzionarie. Che la rivoluzione sia stata possibile in Russia ma non in Europa occidentale, secondo Gramsci, è da attribuire alla natura dello stato e della società civile. Nella Russia zarista, la maggior parte del potere è concentrato nelle mani dello stato; la società civile – partiti, sindacati, aziende, stampa, associazioni… – è poco sviluppata. La presa del potere in queste condizioni, come nel caso dei bolscevichi, implica innanzitutto che ci si impossessi dell’apparato statale: esercito amministrazione, polizia, giustizia… Essendo la società civile allo stato embrionale, chiunque detenga il potere dello stato è in grado di assoggettarla. Naturalmente le seccature iniziano una volta preso il controllo dello stato: guerra civile, rilancio dell’apparato produttivo, rapporti delicati tra classe operaia e contadina.
Nell’Europa occidentale, al contrario, la società civile è densa e autonoma. Sotto l’effetto della rivoluzione industriale, progressivamente si trasforma in sede della produzione. Detiene un’importante quota del potere totale, per quanto il controllo dello stato non sia sufficiente: è necessario regnare nella società civile ma il problema è che non la si conquista in un unico modo. Questo presuppone che il cambiamento sociale assuma delle forme diverse dal caso russo. Non che le rivoluzioni nell’Europa dell’ovest siano diventate impossibili, al contrario; ma devono inserirsi in una «guerra di posizione» di lungo corso.
Dal peronismo ai «subaltern studies»
GRAMSCI vuole essere fedele alla rivoluzione russa – è un ammira­tore di Lenin, cui non smette di rende­re omaggio nei Quaderni del carcere. Ma ha capito inoltre che questa fedeltà implica, in pratica, un cambiamen­to nel modo di fare le rivoluzioni. La sua teoria dell’«egemonia» trova il suo punto di partenza in questa constata­zione. La lotta di classe, dice Gramsci, deve includere una dimensione cultu­rale; deve porsi la domanda del con­senso delle classi subalterne alla rivo­luzione. La forza e il consenso sono i due fondamenti della direzione degli stati moderni, i due pilastri di un’ege­monia. Quando il consenso viene a mancare – come nel 2011, nel mondo arabo –, si verificano le condizioni per il rovesciamento del potere. La prima pubblicazione dei Quader­ni del carcere compare alla fine degli anni ’40. È posta sotto la responsabili­tà di Palmiro Togliatti, segretario ge­nerale del Partito comunista italiano (Pci), che fino all’inizio degli anni ’60 mantiene il controllo sulla diffusione degli scritti del suo defunto compagno (leggere la scheda). Da allora, l’opera di Gramsci costituisce un punto di convergenza per quanti, nel mondo, tentano di conciliare fedeltà alla rivolu­zione d’Ottobre e volontà di adattare il processo a dei contesti sociopolitici spesso molto distanti dal caso russo. Questo spiega la rapida diffusione in­ternazionale delle tesi di Gramsci, e la nascita di correnti gramsciane nell’in­sieme del globo. Possiamo così dire che i Quaderni del carcere sono una delle prime teorie critiche mondializzate. Tre casi molto diversi fra loro illu­strano questa circolazione. Dalla metà del XX secolo, l’Argentina diventa la sede di un’importante tradizione gramsciana, prima di altri paesi del continente, come Brasile, Messico o Cile che solo in un secondo momento si immergono nello studio dei Qua­derni del carcere. La rapidità e l’esten­sione della ricezione di Gramsci in Ar­gentina sono motivate dall’importante immigrazione italiana. Al contempo trovano radici nei suoi principali con­cetti – «egemonia», ma anche «cesa­rismo» o «rivoluzione passiva» – uti­lizzati per capire il peronismo, questo fenomeno tipicamente argentino. Più in generale, servono ad analizzare i regimi militari «progressisti» o «sviluppisti» – da Juan Domingo Perón in Argentina, a Lázaro Cárdenas in Messico a Getúlio Vargas in Brasi­le – che fanno la loro comparsa nella regione. Questi poteri attuano delle forme di «modernizzazione conserva­trice», né rivoluzione né restaurazio­ne, frequenti nel XX secolo nei paesi del terzo mondo, che si modernizzano mantenendo fondamentalmente inva­riate le diseguaglianze di classe. La nozione di «rivoluzione passi­va», che Gramsci elabora nei Quader­ni del carcere quando analizza la for­mazione dello stato-nazione italiano nel XIX secolo, descrive esattamente questo tipo di processo politico ambi­valente. In alcuni casi, queste rivolu­zioni sono guidate da un «cesare» – da cui l’idea di «cesarismo» –, ossia da un capo carismatico che crea un legame immediato con le masse, i cui esempi non mancano nell’America latina del passato e del presente. Pensatori come José Aricó, Juan Carlos Portantiero, Carlos Nelson Coutinho o Ernesto Laclau, tra gli al­tri, propongono delle interpretazioni innovatrici dei Quaderni del carcere, la cui influenza si estende ben oltre i confini dell’America latina (4). Se­guendo l'esempio dello stesso Gram­sci, molti dei suoi interpreti maggiori sono impegnati attivamente nella lotta rivoluzionaria che infuria nel conti­nente tra gli anni ’60 e ’70.All’altro capo del pianeta, le idee dell’intellettuale italiano raggiungono l’India a partire dagli anni ’60, diven­tando un importante riferimento per gli studi postcoloniali (postcolonial studies). Il principale fondatore di questa corrente, il palestinese Edward Said, vi ha ricorso per formulare la sua critica all’orientalismo, ossia alle rap­presentazioni dell’«Oriente» in vigore nel mondo occidentale (5). Sotto l’in­fluenza di Said, ma anche degli storici marxisti britannici Eric Hobsbawm e E. P. Thompson, negli anni ’70, emer­ge un settore specificatamente indiano di studi postcoloniali: gli studi subal­terni (subaltern studies).
Il partito degli oppressi
QUESTA CORRENTE, rappresentata soprattutto da Ranajit Guha, Partha Chatterjee (6) e Dipesh Chakrabarty, prende il suo nome direttamente da Gramsci. Infatti, il termine «subalterni» compare nel titolo del quaderno di prigione n° 25, il cui titolo esatto è «Ai margini della storia (storia dei gruppi sociali subalterni)». I «margini della storia», ossia i gruppi sociali assenti dalle storie «ufficiali», ma in grado, quando entrano in attività, di sconvolgere l’ordine sociale. La circolazione dei concetti gramsciani dall’Italia di inizio XX secolo all’India degli anni ’70 si spiega con la somiglianza delle strutture sociali dei due paesi, e soprattutto con la presenza di un’importante classe contadina. Nel suo testo del 1926, poco prima dell’incarcerazione, «Alcuni temi sulla questione meridionale», Gramsci auspica un’alleanza tra la classe operaia del nord d’Italia, numericamente minoritaria ma economicamente e politicamente in ascesa, e la classe contadina del sud, ancora molto numerosa in quest’epoca. I «subalternisti» indiani sostengono lo stesso tipo di strategia nel loro paese. Una terza corrente affronta i temi della geopolitica con l’aiuto dei concetti proposti dall’autore dei Quaderni del carcere. Si presenta sotto la denominazione di teoria «neogramsciana» delle relazioni internazionali. Il suo fondatore è il canadese Robert Cox, un marxista innovatore che ha anche occupato ruoli direttivi nell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) a Ginevra. Kees Van der Pijl, Henk Overbeek e Stephen Gill, tra gli altri, si inseriscono in quest’orbita. Questi autori hanno analizzato in particolar modo la costruzione europea, cercando di comprendere l’attuale crisi(7). Da un lato, ai loro occhi è da attribuire all’incapacità del progetto europeo di ottenere il consenso attivo delle popolazioni continentali. Perché si instauri un’egemonia duratura, su scala nazionale o continentale, i dominanti devono convincere i dominati che questa favorisce almeno in parte i loro interessi. Del resto, dall’inizio del XX secolo, si assiste a una crescente compenetrazione delle élite europee e americane. Per questa ragione la costruzione europea è stata spesso subordinata agli interessi dell’impero americano, impedendo la formazione di un progetto politico autonomo.
Gramsci ha continuato a partecipare alla costruzione del «partito degli oppressi», sia nel contesto italiano sia anche in quello mondiale, attraverso le sue attività nella III Internazionale, unendo quindi la teoria alla pratica, cosa molto rara – purtroppo – per gli intellettuali critici di oggi.
* Professore di sociologia all’università Paris-Sorbonne (Paris-IV); curatore dell’antologia di testi di Antonio Gramsci Guerre de mouvement et guerre de position, La Fabrique, Parigi, 2012.
(1) I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci sono pubblicati in un primo tempo, tra il 1948 e il 1951, in sei volumi suddivisi per argomenti, per essere riuniti in un’edizione critica curata da Valentino Gerratana pubblicata da Einaudi nel 1975.
(2) Le Figaro, Parigi, 17 aprile 2007.
(3) Cfr. Pierre-André Taguieff, «Origines et métamorphoses de la nouvelle droite», Vingtième Siècle, n° 40, Parigi, 1993.
(4) Cfr. Raúl Burgos, Los gramscianos argentinos, Siglo XXI, Buenos Aires, 2004.
(5) Edward Said, L’Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 (Feltrinelli, 1999 e successive edizioni).
(6) Leggere Partha Chatterjee, «Accese discussioni in India sulla storia coloniale», Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2006.
(7) Cfr. per esempio Henk Overbeek e Bastiaan Van Apeldoorn (dir.), Neoliberalism in Crisis, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2012.
(Traduzione di A.C.)
Al servizio della rivoluzione
NATO IN SARDEGNA nel 1891, Antonio Gramsci cresce in una famiglia relativamente povera. Dopo aver ottenuto nel 1911 una borsa per proseguire i suoi studi in filologia a Torino, incontra Palmiro Togliatti, Angelo Tasca e Umberto Terracini. Insieme, militano nel Partito socialista italiano (PSI), prima di creare nel 1919 il mitico giornale operaio L’Ordine Nuovo. Alla fondazione del Partito comunista italiano (Pci), nel 1921, Gramsci diventa membro del comitato centrale; è nominato segretario generale nel 1924. Nell’aprile dello stesso anno, è eletto deputato in parlamento. Si racconta che, quando Gramsci prendeva la parola nell’emiciclo con la sua fievole voce, Benito Mussolini stesse con l’orecchio teso per non perdere nulla dei discorsi di questo irriducibile oppositore.
Arrestato nel novembre 1926 a Roma, Gramsci è condannato nel 1928 a vent’anni di prigione. «Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare», dirà il pubblico ministero fascista concludendo la sua requisitoria, consapevole della minaccia che un simile avversario rappresentava per il potere. Nel 1929, Gramsci ottiene il diritto di scrivere in prigione, diritto che esercita fino al 1935, momento in cui la sua salute peggiora irrimediabilmente. Muore il 27 aprile 1937 di emorragia cerebrale, dopo dieci anni di calvario nelle prigioni di Mussolini, lasciando dietro di sé un insieme di quaderni incompiuti che stravolgeranno il marxismo della seconda metà del XX secolo.
R. K.

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