martedì 25 giugno 2013

F-35 spaccano il Pd, anche i democratici parlano di sospendere il programma

Durante il dibattito alla Camera, i deputati che  hanno sostenuto l'acquisto hanno chiesto un ripensamento - come del resto aveva annunciato Bersani in campagna elettorale - e uno stop al piano in attesa di un più approfondito esame.

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Spending review, restano gli F 35

Nonostante i diktat della direzione Pd sulla questione F-35, molti parlamentari democratici continuano a essere fortemente contrari all’acquisto dei famigerati cacciabombardieri. E non sono più solo i quattordici “dissidenti” che hanno avuto il coraggio di non ritirare la propria firma dalla mozione Sel-M5S che chiede l’uscita dell’Italia da questo programma militare. Durante il dibattito di oggi pomeriggio alla Camera, infatti, anche i deputati Pd che non hanno sostenuto questa iniziativa hanno chiesto un ripensamento su questa decisione – come del resto aveva annunciato Bersani in campagna elettorale – e una sospensione del programma in attesa di una più approfondito esame parlamentare.

“Non ho firmato la mozione – ha detto Gero Grassi (Pd) – ma sono contrario agli F-35: la nostra coscienza non starebbe a posto se destinassimo 50 miliardi a questa spesa. Dobbiamo avere per lo meno il dubbio sulla validità di questo progetto, sulla validità di questi aerei, sulla opportunità di questa operazione. Auspico che domani il Parlamento sia in grado di approvare un’unica mozione e che sappia destinare la manovra economica che si paventa per l’acquisto degli F-35 a chi ne ha bisogno nella nostra Italia, destinando quest’ammasso di denaro a chi la spending review la subisce, perché spesso non può mangiare, non può curarsi, non può studiare”.
“Concediamoci del tempo, sospendiamo il percorso”, ha chiesto l’onorevole Pd Simona Malpezzi, altra non firmataria della mozione, “consentiamo alla commissione Difesa di verificare tutti gli aspetti realizzando quel tanto atteso libro bianco e facciamo in modo che il Parlamento eserciti quella funzione decisionale in materia che l’articolo 4 della legge 244 del 2012 gli affida”.
Proprio su questo, però, l’onorevole Donatella Durandi di Sel ha sollevato in aula una questione fondamentale: quella del reale potere di controllo del Parlamento sui programmi di armamento della Difesa: la legge di riforma dello strumento militare voluta dal ministro Di Paola, infatti, attribuisce alle commissioni parlamentari il potere di bloccare l’acquisto di armi da parte della Difesa, ma c’è il trucco: “La contrarietà – ha spiegato la Durandi – deve essere obbligatoriamente motivata con la non coerenza del programma alla pianificazione contenuta nel documento annuale della Difesa, che però non è soggetto al voto parlamentare e, quindi, non vi è alcun vincolo reale per il Governo. Solo se la pianificazione pluriennale fosse sottoposta preventivamente all’approvazione parlamentare, le previsioni contenute in quell’articolo avrebbero un qualche valore”.
Nel corso del dibattito, i deputati di Sel e Cinque Stelle hanno poi messo in luce il problema di fondo del perché l’Italia, la cui Costituzione ripudia la guerra, dovrebbe dotarsi di aerei pensati non per difesa ma per scopi esplicitamente offensivi, perfino nucleari. Per il Pd Giorgio Zanin, firmatario della mozione contro gli F-35, dopo vent’anni di impegno italiano in fallimentari missioni militari all’estero sarebbe sensato rivalutare l’opportunità di “usare aerei fuori dei confini nazionali, stirando all’inverosimile il dettato costituzionale”. Se non addirittura avviare una riflessione, come ha detto l’onorevole Durandi, sull’estensione del concetto di difesa dell’interesse nazionale: “Si è passati dalla difesa interna alla proiezione dello strumento militare all’esterno ovunque siano messi in discussione gli interessi economici dell’Italia e persino degli alleati”.
Al termine della discussione, il deputato Pd Paolo Beni – uno dei quattordici firmatari della mozione – ha ricordato come “molti dei paesi coinvolti nel progetto F-35 hanno già ridimensionato il loro impegno finanziario o sono usciti dal programma, come il Canada, o hanno rinviato la decisione in attesa di indagini e approfondimenti, come la Gran Bretagna e l’Olanda. Costi elevati, prestazioni incerte, ricadute occupazionali inferiori alle attese: ci sono molti validi motivi perché anche l’Italia operi un ripensamento su questo progetto, tanto più che non ha sottoscritto contratti definitivi e passibili di eventuali penali. Sarebbe il caso di fermarsi, di avviare una opportuna e adeguata indagine conoscitiva da parte del Parlamento e, solo successivamente, assumere nella sede parlamentare le opportune decisioni. In attesa del completamento di questo processo, penso che vada sospeso il progetto ed ogni azione connessa ad esso”.
A queste parole, quasi tutto il gruppo Pd ha applaudito. Domani mattina si capirà quanti seguiranno il buon senso e quanti le direttive del partito.

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