domenica 23 giugno 2013

Le basi del reddito comune

Come ben richiamato da Pennacchi e Saraceno, reddito di cittadinanza e reddito minimo hanno configurazioni diverse e rispondono, almeno in parte, a valori diversi. Il primo è universale, individuale e incondizionato. Il valore etico principale è l’accesso da parte di tutti alle risorse (o più precisamente) ai frutti delle risorse comuni. Il secondo è selettivo (solo i soggetti al di sotto di una determinata soglia di risorse lo ricevono) e, di solito, a base familiare e condizionato alla disponibilità a lavorare, come nella prospettiva del reddito minimo di inserimento. Il valore etico principale è il contrasto alla povertà.

il manifesto | Autore: Elena Granaglia
Reddito di cittadinanza e reddito minimo sono, poi, diversi dal salario minimo, o dal cosiddetto living wage, nonché dai cosiddetti in work benefit, ossia, trasferimenti riservati ai soli lavoratori poveri, variamente utilizzati in Europa e Usa.
Al di là delle divergenze, a me sembra che reddito di cittadinanza e reddito minimo possano, tuttavia, presentare non poche convergenze. Riconoscere ciò è importante anche ai fini del rafforzamento dell’azione politica a favore di un reddito di base.

Penso, innanzitutto, a convergenze valoriali, nel senso che entrambe le giustificazioni fanno leva su valori importanti per una prospettiva di sinistra basata sull’uguaglianza morale fra tutti i cittadini. Da un lato, come sopra richiamato, il reddito di cittadinanza riflette il diritto di ciascuno alla propria parte di risorse comuni, così mettendo in discussione la liceità di un’appropriazione interamente privata. Il sinonimo usato da Meade di «dividendo sociale» è emblematico: come i titolari di risorse private hanno diritto ai dividendi delle azioni, così noi cittadini abbiamo diritto ai frutti delle nostre risorse comuni. Si può poi discutere di quali risorse considerare comuni. Paine e George pensavano soprattutto alla tassazione e redistribuzione universale della rendita fondiaria. Rolls ha esteso alle rendite derivanti dai frutti del proprio talento (naturale) e van Parris alle rendite associate ai buoni lavori scarsi. Van Parris, poi, in un interessante scambio con White ha riconosciuto che il valore delle rendite deriva dalla cooperazione sociale, così accettando una doppia configurazione di dividendo sociale, una parte da dare a tutti in modo uguale e un’altra da dare a tutti i lavoratori o comunque a tutti coloro che partecipano alla creazione di valore.
Il punto è, tuttavia, cruciale. Esistono rendite derivanti da risorse comuni e queste vanno distribuite in modo ugualitario. Dunque, il reddito di cittadinanza non ha necessariamente a che fare con mere finalità di compensazione ex post. Peraltro, anche così fosse, una qualche compensazione ex post potrebbe essere perfettamente giustificata in tanto in quanto/fino a quando non si sia in grado di rimuovere il complesso delle disuguaglianze inaccettabili.
Dall’altro lato, diversamente da quanto talvolta assunto dagli oppositori, il reddito minimo non necessariamente poggia su giustificazioni caritative o di contrasto della povertà, patentemente inaccettabili per chiunque creda nell’uguaglianza morale dei cittadini. Al contrario, è perfettamente compatibile con una prospettiva equitativa. L’idea di fondo, al riguardo, è che redditi uniformi, quali il reddito di cittadinanza, possano rivelarsi insufficienti in presenza di determinate condizioni di svantaggio (sebbene la base individuale del reddito di cittadinanza possa ovviare a molte delle situazioni odierne di povertà dovuta a carichi familiari). Il che giustifica trasferimenti addizionali a chi sta peggio. Nulla obbliga poi a redditi minimi di mera sussistenza e/o vincolati all’accettazione di qualsiasi lavoro. Al contrario, l’equità milita a favore di redditi di esistenza e attenti alla natura delle richieste effettuate ai beneficiari.
Infine, entrambi, reddito di cittadinanza e reddito minimo, sono compatibili sia con politiche tese all’incremento della «buona» occupazione sia con trasferimenti di servizi. Lo stesso van Parris riconosce che una parte del reddito di cittadinanza può essere distribuito sotto forma di servizi. Nel condivisibile riconoscimento dei limiti del reddito ai fini del benessere personale, non si dimentichi, tuttavia, il contributo del reddito alla libertà effettiva: anche fruire di un reddito è una capacitassimo.
Convergenze sono, altresì, possibili nel disegno delle misure. Anziché tassare di più i più ricchi per poi ridistribuire a tutti un reddito di cittadinanza, si potrebbe lasciare ai più ricchi la quota di reddito di cittadinanza, limitandosi ad una redistribuzione esplicita nei confronti di chi sta peggio. Aggiungo che lo stesso salario minimo potrebbe riflettere, quanto meno in parte, la titolarità di risorse comuni, allentando l’altrimenti rigida separazione fra distribuzione primaria e secondaria. Al contempo, nulla obbliga il reddito minimo all’adozione di una base rigidamente familiare. Al contrario, abbandonando quanto meno in parte il riferimento alle risorse familiari, il trasferimento potrebbe essere esteso a soggetti senza risorse proprie (in primis, giovani), pur essendo parte di famiglie non povere.
Un esempio potrebbe essere costituito dalla generalizzazione della norma presente in Francia nella Prime pour l’Empoli, sul doppio rimando a una soglia di reddito familiare e una individuale. E, comunque, è la base familiare ad aumentare il rischio di trappole dei trasferimenti selettivi (se un altro soggetto della famiglia lavora, il rischio è, infatti, quello di perdere il sussidio). Ancora, le caratteristiche attuali del mercato favoriscano la definizione di redditi minimi relativamente estesi, dati i costi di selezione degli aventi diritto.
Si tratta di spunti da approfondire. Pur riconoscendo le distinzioni fra reddito di cittadinanza e redditi minimi (nonché altre configurazioni di reddito di base), è tuttavia importante riconoscere le possibili aree di comunanza.

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