giovedì 30 gennaio 2014

Una testa, un voto: perché il proporzionale è la lezione fondamentale della rivoluzione francese. E perché, in Italia, è la democrazia

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di Gianpasquale Santomassimo, da il manifesto, 29 gennaio 2014

Nell’esperienza ita­liana, il pro­por­zio­nale è la demo­cra­zia. Lo è sem­pre stato, del resto. Quando esi­ste­vano dav­vero dei demo­cra­tici, le loro riven­di­ca­zioni fon­da­men­tali erano: suf­fra­gio uni­ver­sale e sistema pro­por­zio­nale. Non era un metodo elet­to­rale come un altro, ma una civiltà. Signi­fi­cava opporsi al sistema dei nota­bili, dei mag­gio­renti che si riu­ni­vano al Cir­colo dei Nobili, nella Log­gia mas­so­nica o nell’ufficio del Pre­fetto, e desi­gna­vano il can­di­dato per il col­le­gio, che avrebbe otte­nuto il con­senso dei pos­si­denti e il soste­gno delle auto­rità. Una mino­ranza che si tra­sfor­mava in mag­gio­ranza esclu­dendo le classi popo­lari o ridu­cendo ai minimi ter­mini la loro rappresentanza.

Era la riven­di­ca­zione natu­rale dei par­titi popo­lari con una visione nazio­nale (o anche inter­na­zio­nale) che andasse oltre la ristretta dimen­sione loca­li­stica, con­tro la pic­cola poli­tica ridotta a pura gestione di clien­tele e favori nel pro­prio col­le­gio.
Nell’unica occa­sione in cui nel Regno d’Italia si votò con il pro­por­zio­nale, impo­sto nel 1919 dalla situa­zione post­bel­lica, dall’ingresso for­zato delle masse nella vita dello Stato e voluto anche dall’unico pre­si­dente del con­si­glio che si fosse auto­de­fi­nito “demo­cra­tico”, Fran­ce­sco Save­rio Nitti, il mondo rive­lato da quelle ele­zioni sov­ver­tiva tutte le raf­fi­gu­ra­zioni uffi­ciali e usuali. Era un’Italia in cui socia­li­sti e cat­to­lici erano la mag­gio­ranza del paese, e i libe­rali una minoranza.

Con­tro quel mondo venne mossa una guerra dura e spie­tata, san­gui­nosa, e la con­qui­sta del pro­por­zio­nale venne pre­sto schiac­ciata. Ma va ricor­dato che nelle ele­zioni del 1924 con la fasci­stis­sima legge Acerbo entra­rono comun­que in par­la­mento il Psu con 5,90% e 24 depu­tati, il Psi, 5,03%, 22 depu­tati e il PCd’I, col 3,74% e 19 depu­tati. Ai rea­zio­nari seri impor­tava pren­dere a tutti i costi il pre­mio di mag­gio­ranza (con le buone e soprat­tutto con le cat­tive) ma non c’erano le soglie di sbar­ra­mento all’8% o al 12% del bipo­la­ri­smo strac­cione del nostro tempo.

Dal 1945, con la con­qui­sta della demo­cra­zia e del suf­fra­gio real­mente uni­ver­sale (maschile e fem­mi­nile) il pro­por­zio­nale divenne il natu­rale metodo di for­ma­zione del par­la­mento. Non si trova indi­cato nella Costi­tu­zione per­ché impli­cito nella Costi­tu­zione stessa e nei suoi prin­cipi ispiratori.

L’unico ten­ta­tivo di stra­vol­gere la demo­cra­zia par­la­men­tare fu l’approvazione nel 1952 della “legge truffa”, defi­nita tale per tre motivi: 1) non voleva assi­cu­rare gover­na­bi­lità, ma spa­dro­neg­gia­mento, per­ché andava a chi aveva già rag­giunto la mag­gio­ranza asso­luta; 2) era pos­si­bile da con­se­guire solo per il blocco di cen­tro, per­ché le oppo­si­zioni social­co­mu­ni­ste e fasci­ste non avreb­bero mai potuto coa­liz­zarsi; 3) e soprat­tutto dava un pre­mio spro­po­si­tato che con­sen­tiva alla mag­gio­ranza di cam­biare la costi­tu­zione a suo pia­ci­mento. Fal­lito di misura quel ten­ta­tivo, sulla civiltà del pro­por­zio­nale si è retta la Repub­blica ita­liana nell’epoca delle sue mag­giori con­qui­ste sociali, civili, culturali.

Pre­pa­rata da una lun­ghis­sima cam­pa­gna rivolta all’opinione pub­blica e da una vera e pro­pria demo­niz­za­zione della demo­cra­zia par­la­men­tare, nel 1993 la forma della Repub­blica è stata cam­biata sur­ret­ti­zia­mente attra­verso un refe­ren­dum dema­go­gico che minava alla base la strut­tura della nostra demo­cra­zia. Da allora i voti dei cit­ta­dini non val­gono tutti allo stesso modo. Il mag­gio­ri­ta­rio ha scar­di­nato il prin­ci­pio della rivo­lu­zione fran­cese “una testa, un voto”.

Il popolo è stato con­vinto di eleg­gere diret­ta­mente un governo e un pre­mier, nella “Costi­tu­zione reale” che si è sovrap­po­sta alla Costi­tu­zione scritta. E’ una con­vin­zione pro­fon­da­mente radi­cata, dopo vent’anni di mag­gio­ri­ta­rio, di ideo­lo­gia o addi­rit­tura di “reli­gione” ad esso espi­rate. Un popolo di sud­diti pensa che la demo­cra­zia con­si­sta nell’investire di un potere quasi asso­luto un cau­dillo.

Tutti hanno potuto con­sta­tare il crollo ver­ti­cale di cre­di­bi­lità e di rap­pre­sen­tanza che la poli­tica ha vis­suto negli ultimi vent’anni. Eppure per­si­stono leg­gende radi­ca­tis­sime che demo­niz­zano la “prima Repub­blica”. C’erano troppi par­titi, si dice. Erano media­mente sette: nulla a che fare con gli oltre qua­ranta rag­grup­pa­menti cen­siti all’epoca dei governi di Sil­vio Ber­lu­sconi. C’erano pic­coli par­titi, si dice. C’era qual­che pic­colo par­tito, digni­toso e pieno di sto­ria, come il par­tito repub­bli­cano di La Malfa: nulla a che fare con gli “amici di Mastella”, i “respon­sa­bili” di Sci­li­poti e via dicendo. Cam­bia­vano troppi governi, si dice, vero, ma si dimen­tica la sostan­ziale con­ti­nuità di un sistema poli­tico che ha avuto pochis­sime svolte nell’arco della sua esi­stenza. Se si fosse voluto vera­mente ovviare a que­sto pro­blema si poteva inse­rire in Costi­tu­zione il prin­ci­pio della sfi­du­cia costrut­tiva, che garan­ti­sce la sta­bi­lità della più solida demo­cra­zia euro­pea, quella tede­sca, che era – con molte dif­fe­renze — anche la più vicina al nostro ordinamento.

E a pro­po­sito di sistema tede­sco, va ricor­dato come, nel suo totale anal­fa­be­ti­smo isti­tu­zio­nale, Mat­teo Renzi abbia dichia­rato più volte che è incon­ce­pi­bile che la Mer­kel pur avendo vinto le ele­zioni sia stata costretta a fare “inciuci” con le oppo­si­zioni. Ma si chiama demo­cra­zia par­la­men­tare, non è la “Ruota della For­tuna”, per gover­nare devi avere una mag­gio­ranza in par­la­mento, e anche prima delle ultime ele­zioni la Mer­kel non aveva la mag­gio­ranza asso­luta ma gover­nava assieme ai libe­rali, ora scom­parsi dal par­la­mento. E non è vero che “in tutto il mondo” la mino­ranza che prende un voto in più delle altre si prende tutto il cucuz­zaro, come ritiene il poli­tico di Rignano sull’Arno: que­sta assur­dità esi­steva solo nel nostro sistema elet­to­rale che la Corte ha dichia­rato inco­sti­tu­zio­nale.

Oggi dalla fossa bio­lo­gica del mag­gio­ri­ta­rio si levano voci pre­oc­cu­pate di opi­nio­ni­sti che ammo­ni­scono a non tor­nare nella “palude del pro­por­zio­nale”. L’ideologia del mag­gio­ri­ta­rio, con l’invocazione di mag­giore gover­na­bi­lità a sca­pito della rap­pre­sen­tanza, ricorda ormai un alco­liz­zato all’ultimo sta­dio che invoca sem­pre più alcool di pes­sima qua­lità invece di pro­vare a disin­tos­si­carsi.

Si usa dire, anche a sini­stra, che il pro­por­zio­nale ren­de­rebbe obbli­ga­to­rie le lar­ghe intese. Non è affatto vero: per­ché un sistema elet­to­rale com­porta scelte diverse da parte degli elet­tori, come si vide nell’Italia del 1919 (e come, in nega­tivo, abbiamo visto nell’Italia del 1994), e un voto libero da assilli e ricatti di voto “utile” o coar­tato può final­mente rispec­chiare il paese reale e dar­gli rap­pre­sen­tanza.

Certo que­sto sistema richie­de­rebbe comun­que intese come è nella nor­ma­lità della demo­cra­zia par­la­men­tare, e richie­de­rebbe capa­cità di far poli­tica, di tro­vare media­zioni, di dare rap­pre­sen­tanza alla com­ples­sità della società.
Temo che qui si apri­rebbe una bat­ta­glia molto dif­fi­cile, soprat­tutto a sini­stra, dove la droga mag­gio­ri­ta­ria ha fatto per­dere com­ple­ta­mente la cogni­zione della realtà e dei rap­porti di forza. Non riguarda solo il Pd, nato con una “voca­zione mag­gio­ri­ta­ria” (che in genere è ser­vita a creare mag­gio­ranze altrui), ma anche i cespu­glietti subal­terni che non sareb­bero in grado di supe­rare il quo­rum ma con­du­cono vita paras­si­ta­ria in sim­biosi con l’organismo del par­tito maggiore.

Basare tutte le obie­zioni alla legge elet­to­rale sul tema delle pre­fe­renze (una par­ti­co­la­rità ita­liana che non esi­ste in quasi nes­sun paese euro­peo) rivela una debole ipo­cri­sia, lad­dove sono in gioco temi molto più seri e gravi: rap­pre­sen­tanza della società, plu­ra­li­smo poli­tico, la stessa soprav­vi­venza di una demo­cra­zia par­la­men­tare e costi­tu­zio­nale. Ma qui viene a galla l’equivoco che ha accom­pa­gnato tutte le mobi­li­ta­zioni dell’autoproclamata “società civile” con­tro il Por­cel­lum, che non si sono mosse con­tro lo stra­vol­gi­mento della rap­pre­sen­tanza e il mag­gio­ri­ta­rio in sé, ma in nome del ritorno al col­le­gio uni­no­mi­nale dei nota­bili e degli accordi pre­ven­tivi tra pic­coli e grandi par­titi. Ed è incre­di­bile che oggi in Ita­lia la bat­ta­glia di civiltà del pro­por­zio­nale sia affi­data al solo Beppe Grillo.

Biso­gna che qual­cuno cominci a dire che non accet­terà la legit­ti­mità di governi di mino­ranza, che i premi di mag­gio­ranza sono un furto di rap­pre­sen­tanza, che una legge elet­to­rale che tra­sforma una mino­ranza in mag­gio­ranza è comun­que una truffa, qua­lun­que nomi­gnolo latino si voglia dare a que­sto sopruso. I due par­titi che si met­tono d’accordo per spar­tirsi il par­la­mento ed esclu­dere milioni di cit­ta­dini dalla rap­pre­sen­tanza met­tono assieme sol­tanto il 45% dei voti espressi: non pos­sono pre­ten­dere di rita­gliarsi un sistema elet­to­rale su misura che escluda il resto del paese.

Andiamo verso tempi dif­fi­ci­lis­simi, forse dram­ma­tici, per tutta l’Europa e anche e soprat­tutto per il nostro paese. Abbiamo biso­gno di isti­tu­zioni che rap­pre­sen­tino tutti i cit­ta­dini, che non esclu­dano nes­suno, che riat­ti­vino un tes­suto di soli­da­rietà che è stato lace­rato negli ultimi decenni. Abbiamo biso­gno di veri par­titi e non di comi­tati elet­to­rali o for­ma­zioni per­so­nali, abbiamo biso­gno di vera poli­tica dopo vent’anni di ubria­ca­ture dell’antipolitica.

Una legge elet­to­rale l’abbiamo già, ed è quella dise­gnata dalla Corte Costi­tu­zio­nale. Chia­mia­mola Per­fec­tum se è obbli­ga­to­rio un nome latino. Si sciol­gano le Camere e si vada a votare con quella: avremo un par­la­mento che rispec­chia real­mente il paese e che sarà l’unico legit­ti­mato a cam­biare la Costi­tu­zione, nelle forme pre­vi­ste dalla Costi­tu­zione stessa.

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