venerdì 28 marzo 2014

Il numero uno della Banca d'Italia Visco: “Sindacati e imprese frenano il Paese”. Bonanni: “Parole a vanvera”

Il numero uno della Banca d'Italia appoggia la posizione di Renzi, che nei giorni scorsi aveva criticato duramente la "strana coppia" Camusso – Squinzi. E sottolinea che l'immobilismo politico ha portato a una situazione di "ristagno" dell'economia. Il leader della Cisl: "Non si può fare di tutta l'erba un fascio". E il segretario della Cgil: "Riproposte ricette fallite"

Visco: “Sindacati e imprese frenano il Paese”. Bonanni: “Parole a vanvera”“Rigidità legislative, imprenditoriali e sindacali sono sempre la remora principale allo sviluppo del nostro Paese”. Parola del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha ricordato le parole di Guido Carli in occasione della celebrazione del centenario della nascita dell’economista alla LuissVisco appoggia quindi la posizione del presidente del Consiglio Matteo Renzi, che nei giorni scorsi aveva criticato duramente la “strana coppia” Susanna CamussoGiorgio Squinzi, accusandoli di opporsi al cambiamento e ostacolare le riforme
Dura la reazione del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. “Ci sono alte autorità che spesso parlano a vanvera“, ha detto commentando le affermazioni di Visco. “Non si può fare di ogni erba un fascio”, ha aggiunto.”Ci sono sindacati e sindacati, imprese e imprese e associazioni imprenditoriali e associazioni imprenditoriali, vero è che le massime autorità debbono stare molto attente a come parlano perché stanno diventando loro un problema, stanno gridando allo sfascio e stanno diventando loro gli untori del populismo italiano”.

Non si è fatta attendere anche la risposta della Camusso. “Mi sembra un riproporre ricette che hanno già mostrato il loro fallimento“, ha detto il segretario della Cgil replicando al numero uno di Bankitalia. Secondo la sindacalista, Visco nel fare riferimento a Carli “ha riprodotto il vecchio concetto dei lacci e lacciuoli. Era la stagione nella quale il Paese ha cominciato a disinvestire sul lavoro e a precarizzarlo, determinando così un lungo percorso nel quale sono stati ridotti gli investimenti e i salari dei lavoratori. Non mi pare che questo abbia prodotto una qualità dello sviluppo del nostro Paese, senno non avremmo una crisi italiana dentro la crisi finanziaria mondiale”.
Secondo Visco “oggi non manca, come non è mancata in passato, la consapevolezza delle cose da fare. Ma i movimenti della politica, del corpo sociale sono apparsi impediti e l’azione è risultata largamente insufficiente rispetto al bisogno”. Le conseguenze sono quindi “diverse da quelle che si manifestavano negli anni settanta: mentre allora era l’inflazione, oggi è il ristagno“, ha spiegato il numero uno di via Nazionale, sottolineando che ”i segnali di risveglio che vediamo sono incoraggianti, ma vanno confermati con un’azione riformatrice costante” e chiarendo che “solo affrontando risolutamente i nodi strutturali” sarà possibile riprendere un sentiero di crescita robusta e duratura.
“Siamo scivolati indietro, abbiamo accumulato ritardi nel cogliere le opportunità offerte dai grandi cambiamenti: la globalizzazione degli scambi e la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, ha aggiunto il numero uno di Palazzo Koch, precisando che “la nostra economia ha subito un ferita: né l’impulso della spesa pubblica, pur se orientata nelle direzioni più congrue, né l’espansione creditizia, pur se attuata con coraggio, varranno, da soli, a restituirle vigore”. Occorrerà quindi che “durante un certo intervallo temporale si realizzino incrementi della produttività in modi compatibili con i più progrediti assetti che si mira a stabilire nella vita aziendale e nelle condizioni di lavoro. Se ciò non accadrà saremo costretti ad accettare saggi di sviluppo inadeguati“.
Visco ha ricordato infine che “l’impatto del governatorato di Carli, durato un quindicennio (1960-1975), sul personale della Banca d’Italia ha portato “a una crescita degli addetti di circa 1.000 unità, a poco più di 8.000. Le donne passarono dal 16 per cento circa al 25 per cento; si aprì per loro la carriera direttiva, prima preclusa. Il personale della rete territoriale – impegnato in larga parte in compiti a forte contenuto manuale – scese dal 70 al 62 per cento del totale”.

Nessun commento:

Posta un commento