sabato 30 agosto 2014

Guerre nel Mondo. Isis: le responsabilità degli Stati Uniti nel caos mediorientale.

IraqLa nuova chiamata alle armi contro l’Isis segna il culmine di una spasmodica ricerca del nemico che ha contrassegnato gli sforzi dell’Occidente a partire dall’attentato alle Torri Gemelle e anche prima.
 

L’Isis costituisce indubbiamente di una minaccia per la pace, la sicurezza internazionale e i diritti umani. Ma una risposta efficace deve prendere in considerazione le sue cause e identificare i sostegni di cui esso ha goduto e continua a godere. Fra le prime, la distruzione dello Stato iracheno e la susseguente emarginazione dei sunniti da parte del governo settario di Al Maliki. Quanto ai secondi, non sono convinto che ci sia un lucido disegno dietro il sostegno  al peggiore fondamentalismo islamico che si rende oggi responsabile di violazioni di massa dei diritti umani in tutta l’area medio-orientale. Ma si tratta di un punto che andrebbe approfondito, anche con una commissione d’inchiesta, sia a livello statunitense che internazionale.

Gli errori e le contorsioni di una potenza imperialista, gli Stati Uniti, sempre più allo sbando e vittima delle sue visioni scarsamente lungimiranti e delle sue insuperabili contraddizioni, costano, infatti, parecchio al pianeta e all’umanità, specie a quelle sue particolarmente disgraziate componenti che stanno vivendo, da anni a questa parte, i sanguinosi contraccolpi delle scelte sciagurate degli incauti strateghi di Washington. Ironia della sorte, oggi gli Stati Uniti bombardano l’Isis, che fino a pochi anni fa hanno sostenuto, quantomeno indirettamente per tramite di Arabia Saudita, Qatar, Turchia, ecc. Oggi si prende in considerazione addirittura, per stroncare il pericolo indubbiamente costituito dallo Stato islamico, l’ipotesi di svolgere raid in Siria, in coordinamento con il regime di Assad che fino a poco tempo fa era il tiranno da cacciare ad ogni costo.
Per non parlare della Libia, dove il sostegno ai fondamentalisti islamici, già pagato con la vita dal console statunitense a Bengasi, ha prodotto una situazione sanguinosa e caotica, con pesantissimi contraccolpi sul nostro Paese, in termini di arrivo in massa di rifugiati, nuovi pericoli terroristici e perdite economiche. Ci troviamo insomma di fronte a una vistosa inadeguatezza strategica della superpotenza statunitense, come si può vedere anche su altri scacchieri internazionali dalla Palestina all’Ucraina.
Varie sono a mio avviso le conseguenze che ne scaturiscono. In primo luogo, la sicurezza del pianeta e la lotta al terrorismo non possono continuare ad essere appannaggio della decadente superpotenza statunitense che ha già avuto modo ampiamente più volte di dimostrare la propria inadeguatezza, frutto del resto di un evidente e insanabile conflitto di interessi.
Occorre oggi più che mai un governo multipolare del pianeta che attribuisca alle potenze emergenti a partire da Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica (i cosiddetti Brics), e non solo a loro,  un ruolo molto superiore a quello di cui godono attualmente per quanto riguarda la soluzione di tutte le urgenti questioni che incombono a livello globale, specie in materia di sicurezza internazionale, pace, lotta al terrorismo. Si può discutere se quest’ultima etichetta si attagli o no all’Isis. Certamente si tratta di formazione politico-militare ispirata al peggiore fondamentalismo che sta compiendo massacri ed altre violazioni di massa dei diritti umani, di cui sono complici coloro che l’hanno sostenuto e continuano a sostenerlo.
Per sconfiggerne la resistibile ascesa si  mettano in campo iniziative volte a restituire ai popoli che sono oggi vittima dell’Isis, come lo furono in passato di altri, sovranità, autodeterminazione e diritti, a cominciare da quello fondamentale alla vita e alla sicurezza. Si imbocchino cioè strade completamente opposte a quelle percorse finora dalla suerpotenza dominante, con grande giubilo del complesso militare-industriale e delle bande armate terroriste e fondamentaliste dei tagliagola e più scientifici massacratori di ogni appartenenza, rivestiti o meno di uniformi statali,  tutti uniti nel segno della morte, della violenza e dell’oppressione ai danni dei deboli.

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