martedì 24 febbraio 2015

La "coalizione sociale" e i due fronti di Maurizio Landini. Il plauso di Bertinotti.

“Io sconfitto? La Fiom ha 350mila iscritti, più del partito di Renzi. E non facciamo cene da 1000 euro".
controlacrisi.org fabio sebastiani
Landini ieri sera in Tv ha dato tutta l’aria di non voler mollare la preda. Né quella “dichiarata”, Renzi, né quella celata tra le mille polemiche scaturite dall’intervista al Fatto quotidiano di domenica in cui si profilava il suo atterraggio in politica. "Io voglio a continuare a fare il sindacalista", chiarisce Landini in tv senza però arretrare di un millimetro dall'idea di una "vasta coalizione sociale" che si opponga a un premier, che "pur non essendo stato eletto, sta cancellando lo Statuto dei lavoratori. E' a rischio la tenuta democratica del Paese".

Il leader della Fiom non è nuovo a frasi così definitive. E con Renzi è giù la seconda volta che le tira fuori. E dire che lui con l'inquilino di palazzo Chigi ci ha pure dialogato. Si parlò di "politica indutriale" raccontano le cronache ufficiali. In realtà si era agli inizi del Jobs act e i due si stavano "prendendo le misure". Ma non è solo il fronte "governo" ad impegnare Landini. Anche se lui non vuole premere sull'acceleratore, di fatto si è aperta una questione anche dentro la Cgil. E la convocazione "a rapporto" di ieri con Camusso dopo l'invito ad abbassare i toni, "perché siamo un sindacato e non un partito", ne è la prova lampante. Due le preoccupazioni della leader della Cgil: che Landini si interponga nel confronto, delicatissimo per la scarsa indipendenza della Cgil, tra lei e Renzi; che Landini apra una questione di efficacia e incisività della segreteria visti gli scarsi risultati ottenuti. Anche questo è stato un film già visto, dalla firma dell'accordo del 10 gennaio 2014. Poi ci fu il congresso, e dopo il congresso il leader della Fiom ha iniziato una lenta manovra di rientro, fino al voto di pochi giorni fa al Comitato direttivo in cui si è accodato alle decisioni della maggioranza. Ed ora si ricomincia con Renzi, con il chiaro obiettivo di essere lui, quasi automaticamente e senza troppi strappi, il trascinatore dentro la Cgil. E questo Camusso l'ha capito benissimo.  

Tra i Dem, intanto, solo Pippo Civati, finora, opta per spezzare chiaramente una lancia a favore del numero uno delle tute blu. "Con Landini parlerò ma di persona. E credo sia il momento che tutti quelli che si interrogano su un nuovo partito a sinistra facciano altrettanto", è la sua esortazione.
In pochi, tuttavia, nel Pd al momento sarebbero d'accordo. Non lo sarebbero i bersaniani, che con Miguel Gotor, tornano a ribadire come la battaglia vada fatta "dentro il partito", impedendo "una deriva neocentrista che è il cuore del disegno di Renzi". Tace Gianni Cuperlo mentre Stefano Fassina apre al senso della "coalizione sociale" indicata da Landini: "pone un problema vero: il lavoro, nonostante lo sforzo di alcuni di noi e di Sel, non ha un'adeguata rappresentanza", ma frena sulla formalizzazione di un soggetto politico nuovo. “Se Landini dice che la politica non dà una rappresentanza adeguata al lavoro io sono d’accordo con lui – dice in una intervista al manifesto -. Se dicesse che la sinistra esistente, per esempio in Parlamento e anche nel Pd, è irrimediabilmente compromessa io non sarei d’accordo. Credo che ci sia una parte che vuole essere attiva proprio per arrivare a una rappresentanza adeguata dei mondi non rappresentati. A partire dal lavoro. E un chiaro plauso arriva da Nichi Vendola ("è una risorsa, non certo un problema") leader di Sel e da mesi impegnato a creare un fronte comune che dentro e fuori il Parlamento si opponga al "renzismo". Più aperta e chiara la presa di posizione di Fausto Bertinotti. "Penso sia una mossa di grande intelligenza politica e assolutamente condivisibile, aiutata da un paio di vicende come quella greca e quella spagnola. E' la conferma che il segretario della Fiom pensa ad una crescita quantitativa e qualitativa della Fiom e del sindacato dentro quella che lui chiama correttamente 'coalizione sociale'. È il contrario della trasmigrazione del sindacato al partito", dice l’ex segretario del Prc in un'intervista all'Huffington Post. Per Bertinotti, quella del segretario della Fiom "è una rottura degli schemi tradizionali. Punta ad una coalizione sociale che non ha come obiettivo il consenso, ma invece parte dal consenso sociale e conflittuale e riesce così ad avere una sua vocazione maggioritaria fuori dagli schemi istituzionali in cui Renzi stravince e la sinistra è prigioniera. Un po' come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna". Anche perché, sottolinea Bertinotti riferendosi al Pd di Matteo Renzi, "di fronte alla mutazione genetica di un partito e all'impotenza delle altre forze in campo, si deve percorrere una strada completamente diversa e Landini coglie questa esigenza, si colloca fuori da un campo in cui si pesta solo l'acqua nel mortaio".

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