martedì 24 febbraio 2015

La sfida dal basso di “Buongiorno Toscana”

È nella culla del renzismo che prende forma un’altra esperienza simil Podemos. “Senza voler copiare ma importando quell'innovazione che manca a sinistra. Nella semantica e soprattutto nelle pratiche”, spiega Andrea Raspanti, il 34enne che un anno fa sfiorò il ballottaggio contro il Pd nella sua città con la lista "Buongiorno Livorno". Una nuova proposta politica che si basa sulla coalizione sociale ipotizzata da Rodotà e Landini, coi partiti sullo sfondo

micromega
Intervista a Andrea Raspanti di Matteo Pucciarelli
L'esperimento si chiama, non a caso, "Buongiorno Toscana". E vista la natura della legge elettorale della Regione, l'obiettivo è, senza giri di parole, portare Enrico Rossi e il Pd al ballottaggio: «Lì davvero tutto potrebbe diventare possibile. Di eleggere uno o due consiglieri regionali non ci interessa». Il 1° marzo, a Livorno, verrà presentato il progetto di una lista aperta al mondo del civismo, parteciperà il mondo legato alla lista Tsipras e ai Cinque Stelle fuoriusciti in questi mesi, una folta delegazione guidata da Massimo Artini.

I vostri slogan sono "dal basso verso l’alto", "dal basso verso l’altro" e "dai margini al centro". Non si cita mai la parola "sinistra": scelta voluta oppure è un caso?


Culturalmente e politicamente siamo persone di sinistra, ma siamo convinti che questa sia diventata una parola equivoca. Nel sentire comune viene intesa e collegata o con il Pd o con esperienze minoritarie e fallimentari. Noi ci rivolgiamo alle forze che si identificano con i valori della sinistra, ma pensiamo che questi dovrebbero essere qualcosa che si capisca senza dover nominare la parolina magica. La gente normale ha altre preoccupazioni rispetto all'ansia di doversi identificare più che definirsi. E aggiungo che più dell'etichetta occorre la coerenza nel rappresentare certi valori. L'impegno è ridare fiducia alle persone che vivono gli effetti della crisi, e sono la maggioranza, e che magari sono "di sinistra" senza sapere di esserlo, o che per cultura votavano centrodestra ma che in noi possono trovare delle risposte. In Grecia con Syriza è avvenuto questo dopotutto.

Che rapporto avete e avrete con le realtà organizzate della sinistra, come Sel e Rifondazione?

La società civile può e deve essere interfaccia e motore di un processo che metta insieme comitati locali, movimenti e anche partiti, ma uscendo dalla logica dei cocci da mettere insieme, delle segreterie di partiti che si incontrano e concordano posti e liste. La sommatoria dei voti per superare uno sbarramento non ci interessa. Qualcosa di davvero al passo coi tempi deve necessariamente essere pensato dalla politica contro se stessa, contro i vecchi tic e i politicismi insomma. Va ribaltato il punto di osservazione, proviamo a guardare le cose con gli occhi delle persone comuni che di alchimie non ne possono più.

Quindi siete degli antipartito?

No, non è questo il punto. I partiti sono ancora impostati su un modello di società molto meno articolare e diversificato, in cui le competenze erano meno diffuse e più strutturate le interazioni sociali. Oggi servono strutture in grado di intercettare le energie e le conoscenze disseminate nella società civile e di fare loro spazio, di favorire la loro emergenza. Non servono centri di potere, ma strutture leggere di intermediazione.

Landini e Rodotà parlano della necessità di costruire una sinistra sociale che vada oltre alla zavorra dei partiti. Cosa ne pensa?

Condivido pienamente e aggiungo un ragionamento partendo dalla nostra esperienza locale. L'austerità, che risponde a intenzioni ademocratiche, ha effetti antidemocratici. In termini di minori servizi, cioè risposte ai bisogni e cioè diritti, e di accentramento delle decisioni: cioè di allontanamento dei centri decisionali e di sostanziale ostacolo a una piena intelligenza dei problemi e delle responsabilità da parte dei cittadini su cui le decisioni si scaricano. La crisi viene affidata agli enti locali, cioè ai Comuni, che contestualmente vengono privati dei mezzi per gestirla dai minori trasferimenti dal governo centrale. Da qui tagli, svendite, privatizzazioni. I cittadini, alla ricerca delle cause del loro malessere, si voltano, vedono i sindaci con le mannaie in mano e se la prendono con loro. Ma i mandanti del delitto sono altrove, al sicuro. Irraggiungibili. La classe politica espressa sul territorio, per quanto economicamente mortificata, è invece alla portata degli schiaffi di tutti. Questo non vuole assolvere i sindaci, che potrebbero fare molto più e molto meglio, spesso, di quel che fanno, a cominciare dall’opporsi davvero alla logica dei tagli e a mobilitare le loro città, invece di accettare a capo chino il ruolo di commissari della Troika. Vuol dire però ripristinare una gerarchia delle responsabilità. I consiglieri comunali, i politici più a stretto e inevitabile contatto con la base che li ha espressi, sono praticamente dei volontari spogliati di ogni potere ma investiti, nel clima generale – e meritatissimo ad alti livelli – di sfiducia e diffidenza verso la politica, anche per le responsabilità dei piani superiori.

Quindi ripartire dal basso significa ripartire dagli enti locali?

Sì, perché tutto questo genera un bellum omnia contra omnium che lascia intatti i reali equilibri di potere. Per questo solo dagli enti locali, e prima di tutto dai Comuni, potrà partire la risposta alla crisi, il cambiamento che metta in discussione l'assetto attuale dei poteri per costruire, attraverso una nuova politica, una nuova società. I Comuni sono i gradini della scala che deve portare ai piani alti, laddove si esercita il potere legislativo. Ma non devono essere considerati una tappa di passaggio, quanto il luogo proprio della politica, quello che garantisce al meglio la democrazia delle decisioni perché riduce al minimo la distanza tra rappresentanti e rappresentati. Chiaro che un progetto di questo tipo ha bisogno di un altro modo, da parte dei corpi intermedi, di interpretare il loro ruolo, in un dialogo continuo con le basi, in una democrazia assembleare vera, che integri le istituzioni della democrazia rappresentativa con la partecipazione e, soprattutto, la formazione alla partecipazione, diversamente da quelle persone malavvezze da sistemi di potere e d’informazione che si sono dimostrate del tutto disinteressate addirittura alla consultazione. Gli ultimi tre presidenti del Consiglio non sono stati eletti da noi, no?

Avete in mente di utilizzare la rete per il programma e le candidature?

Noi nasciamo come un progetto che guarda oltre alla tappa delle elezioni regionali. Vogliamo valutare però se esiste la possibilità che le elezioni accelerino la spinta. Il 1° marzo presenteremo un sito che ha le caratteristiche di condivisione di informazioni tra realtà locali, e poi vogliamo costruire un'interfaccia con l'esterno, facendolo diventare uno strumento di partecipazione. Anche per scrivere il programma quindi, contiamo di utilizzare internet. Sapendo che non basta. Per questo motivo stiamo girando la Toscana per fare assemblee pubbliche e incontri con i cittadini, in carne e ossa.

I vostri rapporti con il M5S quali sono?

Non abbiamo rapporti coi grillini, nonostante da parte nostra un anno fa ci fu, in nome della discontinuità, una indicazione di voto per il candidato del M5S al ballottaggio di Livorno. Questo per dire che non abbiamo mai avuto preconcetti. Ma c'è un dialogo con chi è uscito dal Movimento, persone che in questi anni hanno mal digerito la gestione padronale di un partito che nasceva per essere tutt'altro. La costruzione di una rete tra realtà civiche a loro piace, è un punto di partenza.

Sarà lei il candidato presidente?

Premessa: non vogliamo contribuire alla frammentazione del quadro politico della sinistra, se non troviamo una sintesi di area non ci presenteremo. Se invece troveremo un'intesa nel nome di un progetto, ci saranno delle modalità democratiche che definiranno i criteri per individuare i profili giusti per rappresentarci. Penso che vadano tenute sotto controllo certe tendenze inconsce della sinistra che a volte fanno più danni che altro.

In che senso?
Chi ci metterà la faccia dovrà essere il più "simile" e riconoscibile rispetto alla gente che dovrà votarci. Spesso sento fare questo richiamo alle lotte e a chi le ha condotte negli anni e nei decenni scorsi. Amo le lotte, sia ben chiaro, ma ho la sensazione che si utilizzi la questione più come un fattore per rivendicare primogeniture; e poi è anche un concetto che può suonare "colpevolizzante" verso gli elettori. Ci deve scegliere anche chi non ha mai fatto lotte epiche, le persone comuni. Se vogliamo essere un progetto che si rivolga alla maggioranza.

(24 febbraio 2015)

Nessun commento:

Posta un commento