giovedì 25 giugno 2015

Politica estera e spesa per la Difesa: 9 euro su 10 destinati a militari, briciole alla cooperazione.

Politica estera e spesa per la Difesa: 9 euro su 10 destinati a militari, briciole alla cooperazione

Erano 31 miliardi nel 2005, sono scesi a quota 26 nel 2014 (nonostante le sollecitazioni Nato). Ma solo 2,9 miliardi sono per i Paesi in via di sviluppo. L'incidenza del decreto missioni è minima: appena il 4 per cento. Il dibattito in parlamento: durante gli ultimi quattro governi non ha mai rappresentato la priorità, appena 26 ore di discussione contro le 70 del decreto Imu, le 81 del Jobs Act e le 133 della legge di Stabilità.

 
ROMA - Trentuno miliardi nel 2005. Poi la cifra ha cominciato a scendere. E nel 2014 si è fermata poco sopra quota 26. A tanto ammonta - secondo la banca dati Sipri - la spesa stanziata per la Difesa in Italia. Numeri che tengono dentro sia i soldi destinati agli interventi militari sia quelli dedicati alla cooperazione (decreto missioni incluso). Ma senza alcun equilibrio tra le due componenti. In percentuale, quel che emerge è che la seconda incide sul totale in maniera decisamente lieve: dieci anni fa rappresentava il 14%, oggi non più dell'11 per cento. In cifre assolute si tratta di 2,9 miliardi contro 23,3: a voler semplificare, è come dire che quasi 9 euro su 10 sono stati incanalati verso attività militari. Il resto - briciole al confronto - alla cooperazione allo sviluppo.

Stanziamenti, quelli ai militari, su cui pesa - al di là dei risultati - la sollecitazione della Nato (proprio in questi giorni è in corso il vertice dei ministeri della Difesa) che ha sempre invitato i propri membri a raggiungere un rapporto del 2% fra spesa militare e Pil (Prodotto interno lordo). Obiettivo sottolineato ancora nel summit che si è tenuto in Galles lo scorso anno, visto che molti Paesi - fra cui l'Italia - stanno lentamente scivolando nella direzione opposta. In quei giorni il premier Matteo Renzi se la cavò replicando in conferenza stampa: "Se l'Europa considera la spesa per la Difesa strategica, allora andrebbe tolta dal patto di Stabilità".

Un altro monito, però, è di queste ore e arriva dal nuovo segretario alla Difesa Usa, Ashton Carter. Giunto in questi giorni in Europa per partecipare a Bruxelles al vertice dell'Alleanza, Carter ha promesso più armi contro la Russia di Vladimir Putin e ribadito che spetta agli europei fornire il grosso delle truppe terrestri non senza dimenticare che la maggior parte degli Stati membri non sta onorando i propri impegni di spesa.

Secondo i dati Openpolis (col contributo di ActionAid) per Repubblica.it, nel 2014 solamente in sei raggiungevano la soglia. Nell'ordine: Stati Uniti, Francia, Grecia, Turchia, Regno Unito ed Estonia. Per quanto riguarda l'Italia, rispetto al primo anno di riferimento (2004), la percentuale del Pil dedicata alla spesa è costantemente scesa, passando dal 2% all'1,5 per cento (nel computo è inclusa l'Arma dei Carabinieri).

Nel 2015 si stima che il Belpaese investirà soltanto l'1% del suo Pil in spesa per la Difesa. La discesa è stata resa nota soltanto qualche giorno fa grazie a una tabella contenuta nel rapporto sui dati economici e finanziari diffuso dalla stessa Nato a Bruxelles. Altri Paesi dell'Alleanza Atlantica hanno invece aumentato le proprie spese militari. Tra questi, ad esempio, la Grecia è passata dal 2,2 al 2,4%, la Polonia dall'1,8 al 2,2% e il Portogallo dall'1,3 all'1,4 per cento.

Va ancora peggio se dal target Nato ci si sposta all'obiettivo Onu sulla cooperazione. Negli anni Settanta, infatti, le Nazioni Unite hanno stabilito che ogni Paese dovesse destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo (che è cosa diversa dal Pil) agli aiuti per lo sviluppo. Fra i Paesi considerati, a guidare il treno è la Svezia, che nel 2014 impegnava l'1,1 per cento. Subito dietro, soltanto altri quattro hanno viaggiato con i conti in regola: Lussemburgo, Norvegia, Danimarca e Regno Unito. Rispetto al 2005, primo anno considerato, l'Italia è passata dallo 0,29% allo 0,16 per cento. Dopo di noi, altri sette Paesi tra cui Spagna, Grecia e Polonia.
Decreto missioni. Dentro questo budget così ampio si colloca il decreto missioni. Tradotto: si tratta di 8 miliardi impegnati in sei anni. Tanti sono i soldi stanziati dai governi italiani tra il 2009 e il 2014 per la proroga - di volta in volta - di un decreto che tiene dentro tanto la spesa militare internazionale quanto l'attività di cooperazione e sviluppo. A fare la parte del leone, però, anche in questo caso è sicuramente la prima visto che la seconda incide sul totale per una percentuale esigua: appena il 9 per cento.

I raffronti. Il decreto missioni stanzia su base annuale o semestrale parte dell'ammontare delle risorse dedicate alle missioni militari ed alle iniziative di cooperazione. In media il totale di fondi approvati annualmente nel decreto si aggira attorno a 1,3 miliardi di euro, con un picco - era il 2010 - di 1,5 miliardi. A differenza della spesa complessiva per la Difesa, in questo caso si può notare che mentre il totale destinato alle missioni militari è progressivamente calato, la parte destinata alla cooperazione, seppur notevolmente inferiore alla prima, è rimasta costante, se non addirittura cresciuta. Nel 2009 quasi 1,2 miliardi andavano sulle missioni militari contro i 123 milioni della cooperazione. Nel 2014 alle missioni militari sono stati garantiti 936 milioni (dunque in calo dopo un picco raggiunto nel 2010 e nel 2011) e sulla cooperazione sono confluiti più di 136 milioni.
Incidenza decreto missioni-spesa Difesa. Nonostante la maggior parte del dibattito pubblico si concentri sul decreto missioni, è evidente che questo atto rappresenti solamente una minima parte della spesa totale dell'Italia sia per le forze armate sia per la cooperazione allo sviluppo. In entrambe le situazioni, l'ammontare approvato annualmente nella discussione del decreto rappresenta poco più del 4% dell'investimento totale del nostro Paese. Stesso discorso vale per la cooperazione, per una spesa totale poco sotto i 3 miliardi: con il decreto missioni se ne stanzia solamente il 4,57% (136 milioni).
I numeri del 2015. Con il decreto presentato il 10 febbraio scorso, il governo Renzi ha rifinanziato per i primi nove mesi dell'anno le missioni all'estero con 542 milioni di euro (su un totale di 868 milioni stanziati). Una cifra in lieve calo rispetto ai 550 milioni spesi per i primi sei mesi dello scorso anno. Tuttavia, la principale novità di quest'anno è rappresentata dall'inserimento di una prima lunga parte di norme - più della metà del testo - dedicata alla lotta al terrorismo. Un decreto, secondo Nino Sergi che l'ha analizzato per Repubblica, che "con il passare degli anni è riuscito a caricarsi di disorganicità, incoerenza e confusione, rispecchiando forse l'assenza di una chiara, definita e lungimirante strategia politica del nostro Paese per affrontare le crisi internazionali".

Alla somma iniziale vanno poi aggiunti 170 milioni per i "processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e partecipazione": di questi, 120 milioni servono per finanziare le forze di sicurezza, polizia compresa, in Afghanistan dove negli ultimi dodici anni (2002-2014) sono confluiti quasi 5 miliardi di euro (il picco nel 2011). Complessivamente, però, stavolta diminuiscono i fondi per le missioni in Afghanistan, dove soltanto poche ore fa i talebani hanno rivendicato l'attacco al parlamento di Kabul con autobomba e kalashnikov (qui il video). E dunque, dai 183,6 milioni degli ultimi 6 mesi del 2014 si passa ai 126,4 milioni calcolati al 30 settembre 2015. Un calo causato dalla fine di Isaf e dall'assottigliamento a 700 unità del contingente assegnato all'operazione Nato Resolute Support.

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Lo spazio in parlamento. Nelle ultime due legislature, la cooperazione allo sviluppo ha fatto fatica a trovare spazio in parlamento. Durante gli ultimi quattro governi non ha mai rappresentato la priorità, tanto che la posizione più alta - il 14esimo posto - nella classifica dei temi più trattati se l'aggiudica con l'esecutivo a guida Renzi. Il focus riguarda l'atto principale non solo della cooperazione ma di tutta la politica estera italiana: il decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali e degli interventi di cooperazione.
Il primo elemento che emerge è la compressione dei tempi di discussione e dibattito. Con appena 40 giorni, è fra i decreti che hanno l'inter di conversione più veloce: ha impegnato le aule e le commissioni di Camera e Senato per un totale bassissimo di ore: 26 per il decreto missioni del secondo semestre 2014 contro le 70 del decreto Imu, le 81 del decreto Lavoro e le 133 della legge di Stabilità 2014.

Una prima motivazione la si può trovare nel carattere 'bipartisan' che ormai contraddistingue il provvedimento, che stabilmente riceve il consenso dei principali partiti anche quando questi sono su schieramenti contrapposti. In particolare, sotto il quarto governo Berlusconi, il Pd ha votato a favore pur stando all'opposizione (909 sì a fronte di una maggioranza di 517). Idem a parti invertite con Forza Italia che fornisce il proprio assenso al governo Renzi (755 sì a fronte di una maggioranza pari a 573).
E' grazie all'indice di rilevanza degli argomenti che è possibile calcolare quali siano gli argomenti più trattati in parlamento. La cooperazione internazionale ha sempre navigato in posizioni molto basse in classifica: 27esimo tema più trattato con l'ultimo governo Berlusconi, 49esimo con il governo Monti e 47esimo con il governo Letta. Soltanto con l'esecutivo Renzi, il tema è entrato nella 'top15', grazie soprattutto all'approvazione della legge numero 125 del 2014 che modifica la disciplina generale in materia.

Va ribadito poi che le risorse stanziate attraverso il decreto rappresentano una parte esigua (circa il 4%) del totale dei fondi impegnati sia per quanto riguarda la cooperazione sia sul fronte della difesa. Se quindi il decreto missioni non è al centro del dibattito parlamentare e dell'opinione pubblica è perché non è più così centrale nella definizione della politica estera italiana: secondo Openpolis non si può non evidenziare come su questo tema sia stata persa un'occasione di confronto e non ne siano state individuate di nuove.

Fondi, destinazioni e obiettivi. Nel 2013, dei quasi 3 miliardi di euro impegnati dall'Italia per l'aiuto pubblico allo sviluppo, più di 2,2 miliardi erano destinati alle organizzazioni internazionali per permettere lo svolgimento delle loro attività a favore dei Paesi in via di sviluppo. L'Italia gestisce per via diretta, con i Paesi destinatari, 'soltanto' 694 milioni di euro. Del totale dei fondi, infatti, la parte utilizzata per l'aiuto bilaterale o multibilaterale è poco più del 20 per cento.

Sempre nel 2013, il Paese per cui sono stati impegnati più fondi bilaterali è l'Albania: lì l'Italia ha destinato oltre 28 milioni di euro. Sul podio anche l'Afghanistan, con 27,9 milioni e l'Etiopia (18,2 milioni). Su un bacino totale di 113 Paesi, i primi due della classifica ne ricevono oltre il 17 per cento. Più in generale, i beneficiari sembrano essere divisi in due categorie: sette Paesi che hanno ricevuto oltre 10 milioni a testa nel 2013 (più del 41% del totale), e il resto del cluster, oltre 100 Paesi ai quali è andato il restante 59 per cento.

Va detto, però, che oltre il 43% del totale (694 milioni) in realtà non ha mai lasciato il nostro Paese perché destinato alla gestione dei rifugiati politici. Questa tipologia di aiuto, che risulta essere la voce più corposa, è seguita da infrastrutture e servizi sociali (il 25,56% del totale) e aiuti per i settori produttivi (8,33%).

Ma le iniziative di cooperazione si appoggiano molto sul network delle organizzazioni internazionali. Nel 2013 l'Italia ha impegnato quasi 2,3 miliardi di euro in fondi multilaterali. All'Unione Europea per esempio è andato un miliardo e mezzo di euro (il 68% del totale), per portare a termine azioni a favore dei Paesi in via di sviluppo. A seguire si piazzano l'Agenzia Internazionale per lo sviluppo (oltre 300 milioni pari al 13,44%) e le banche regionali di sviluppo (172 milioni pari al 7,56 per cento).

Missioni militari internazionali. Il personale militare italiano è presente in tutto il mondo con varie missioni, sotto la bandiera di varie organizzazioni internazionali. Il 53,99% è impiegato in operazioni Nato, il 28,42% con quelle dell'Onu e il 14,16% sotto bandiera Ue. Fra i paesi che ospitano più personale militare italiano abbiamo l'Afghanistan (1.630 unità), il Libano (1.2519) e la zona dei Balcani (559). Ma una parte considerevole del quadro è rappresentato dalle truppe utilizzate nei confini nazionali. Basti pensare che l'operazione militare che impiega più personale è proprio in Italia con l'operazione Strade Sicure.

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