venerdì 28 agosto 2015

I dati reali sul lavoro e le «sviste» del ministro.

Il mini­stro Giu­liano Poletti non sem­bra aver affer­rato la que­stione rela­tiva alla gaffe sui dati dei con­tratti di lavoro e com­menta: «C’è stato un errore umano nello scri­vere una tabella. I dati che abbiamo modi­fi­cato sono alli­neati a quelli che erano già stati rap­pre­sen­tati nei mesi pre­ce­denti e con­fer­mati dall’Inps con­fer­mano sostan­zial­mente che c’è stato un incre­mento impor­tan­tis­simo dei con­tratti sta­bili e il crollo delle collaborazioni».
Arri­vano i com­menti delle oppo­si­zioni: da Renato Bru­netta, che chiede le dimis­sioni del Mini­stro del Lavoro e che le pub­bli­ca­zioni sta­ti­sti­che del Mini­stero ven­gano affi­date all’Istat (ma con il con­trollo del Par­la­mento), alle dichia­ra­zioni di Grillo che dà del «bugiardo» a Poletti ma con­fonde gli occu­pati, su cui ha com­pe­tenza l’Istat, con numero di con­tratti, di cui invece si occu­pano a via Veneto. Intanto, rag­giunto al tele­fono, Giu­lio Mar­con, Vice­pre­si­dente della Com­mis­sione Bilan­cio alla Camera (Sel), espri­mendo pre­oc­cu­pa­zione per come il governo con­ti­nua, attra­verso una nar­ra­zione tos­sica della realtà, a fare pro­pa­ganda sugli effetti (non posi­tivi) delle riforme del mer­cato del lavoro, fa sapere che il caso sarà oggetto di un’interrogazione parlamentare. Altret­tanto duro Nicola Fra­to­ianni, che chiede «rispo­ste chiare e assun­zione di respon­sa­bi­lità da Poletti».

La stru­men­ta­liz­za­zione
Men­tre la poli­tica len­ta­mente rea­gi­sce, ci si chiede come può un’istituzione gover­na­tiva liqui­dare un’inesattezza così rag­guar­de­vole facendo leva sull’«errore umano», men­tre appro­fitta dell’occasione per stru­men­ta­liz­zare le infor­ma­zioni a pro­prio vantaggio.
Un ser­vi­zio sta­ti­stico non è per defi­ni­zione un uffi­cio uni­per­so­nale in cui un sin­golo avvia e con­clude i pro­cessi auto­no­ma­mente, ma si com­pone di una plu­ra­lità di indi­vi­dui e, in teo­ria, di regole di fun­zio­na­mento dei pro­cessi stessi, incluso il con­trollo e la verifica.
L’atteggiamento mostrato dal Mini­stro risulta quindi irri­spet­toso nei con­fronti dell’istituzione che rap­pre­senta e in par­ti­co­lare del dipar­ti­mento studi sull’andamento del mer­cato del lavoro. Poletti sem­bra disco­no­scere l’importanza della cre­di­bi­lità isti­tu­zio­nale di fronte ai cit­ta­dini, che così facendo viene meno, spe­cial­mente su un tema, quello del lavoro, su cui si misura l’azione reale del governo, in un periodo in cui la disoc­cu­pa­zione atta­na­glia la vita di oltre tre milioni di lavo­ra­tori e delle loro fami­glie. La cre­di­bi­lità di un’istituzione è cifra stessa della demo­cra­zia, quel valore di cui appare immune il governo, a par­tire pro­prio dalle riforme del mer­cato del lavoro, adot­tate con una delega che ha escluso di fatto la dia­let­tica parlamentare.
Tut­ta­via, men­tre l’errore (oltre un milione di con­tratti netti) viene declas­sato a una sem­plice svi­sta, esso diventa opi­nione pub­blica attra­verso la stampa e la tele­vi­sione ed oggetto di dichia­ra­zioni trion­fali da parte del governo. Il Mini­stro, senza nep­pure scu­sarsi o assu­mersi la respon­sa­bi­lità dell’accaduto, insi­ste sui numeri e sul buon risul­tato dovuto al Job­sAct e agli sgravi alle imprese e in que­sti ter­mini viene ampli­fi­cato, ingan­nando i cittadini.
Usando tutta la com­ples­sità dei dati e delle diverse fonti dei dati, sap­piamo che in sette mesi le riforme hanno pro­dotto solo 115mila con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato, che a par­tire da marzo sono a tutele cre­scenti, cioè sta­bil­mente pre­cari. Quan­ti­ta­ti­va­mente è pos­si­bile esul­tare per que­sto dato? No, per­ché se da un lato i con­tratti non danno mag­giori tutele ai lavo­ra­tori, dall’altro que­sti con­tratti non sono asso­ciati a nes­sun miglio­ra­mento del mer­cato del lavoro in ter­mini occu­pa­zio­nali: il tasso di disoc­cu­pa­zione supera il 12% come spiega l’Istat nell’ultima nota rela­tiva alle forze di lavoro.
Non c’è con­trad­di­zione tra que­sti due dati, nono­stante misu­rino aspetti diversi di uno stesso feno­meno. Il mini­stero del lavoro si occupa di con­tratti, l’Istat di occu­pati e disoc­cu­pati. Ogni lavo­ra­tore può essere occu­pato, ma svol­gere più lavori, quindi il numero di con­tratti che fanno rife­ri­mento a un’unica per­sona pos­sono essere più di uno. Allo stesso tempo, se in un mese una per­sona ha lavo­rato con un con­tratto a tempo deter­mi­nato di tre giorni (come avviene in oltre il 40% dei casi stando ai dati) può essere con­si­de­rato occu­pato o disoc­cu­pato a seconda che l’intervista dell’Istat avvenga nella set­ti­mana rela­tiva ai giorni lavo­rati o meno. Con grande pro­ba­bi­lità sarà con­si­de­rato disoc­cu­pato, coe­ren­te­mente con la realtà.
Le varia­zioni da mese a mese
Ovvia­mente i dati tra un mese e l’altro pos­sono subire pic­cole varia­zioni, dovute alle revi­sioni men­sili, in teo­ria già incor­po­rate nei dati con­so­li­dati pub­bli­cati dal mini­stero. Ogni mese, il mini­stero dispone di due estra­zioni dalle ban­che dati ammi­ni­stra­tive: la prima fatta a venti giorni dalla chiu­sura del mese e (dati prov­vi­sori), la seconda a qua­ranta giorni, entrambe rese poi pub­bli­che. È tra la prima e la seconda estra­zione il momento in cui inter­ven­gono le revi­sioni: le imprese infatti pos­sono comu­ni­care la dina­mica delle atti­va­zioni, ces­sa­zioni e/o tra­sfor­ma­zioni con­trat­tuali con un mar­gine di ritardo per cui que­ste movi­men­ta­zioni nel sistema ven­gono regi­strate e veri­fi­cate nei qua­ranta giorni.
Ma la dif­fe­renza sostan­ziale sta nel fatto che i dati con­so­li­dati inclu­dono i rap­porti netti di lavoro del set­tore pub­blico, sono quindi non sol­tanto defi­ni­tivi ma anche più com­pleti in ter­mini di set­tori eco­no­mici. Da notare che per il mese di giu­gno, al Mini­stero hanno dimen­ti­cato di for­nire il dato con­so­li­dato nono­stante la sua pub­bli­ca­zione fosse pre­vi­sta, secondo il calen­da­rio interno, per il 7 agosto.
Baste­rebbe quindi pro­ce­dere con un pro­to­collo pre­ciso sot­to­po­sto a veri­fica, ren­dendo giu­sti­zia a una fun­zione chiave quale la sta­ti­stica uffi­ciale, altri­menti come è stato invo­cato più volte ieri sulla stampa, sarebbe meglio dele­gare a un isti­tuto più auto­re­vole l’elaborazione e la pub­bli­ca­zione dei dati, evi­tando il più pos­si­bile che que­sti riman­gano in balìa dei governi o comun­que diret­ta­mente dipen­denti da essi.

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