domenica 27 settembre 2015

L'avvocato: "Dieci anni di sofferenza, ma il caso Aldrovandi ha aperto le coscienze".

Alla vigilia dell'anniversario della morte del diciottenne ferrarese, parla Fabio Anselmo, il difensore della famiglia. Ora che il caso giudiziario è chiuso, bisogna coltivare la memoria del ragazzo e continuare la battaglia per le altre vittime di presunti abusi da parte delle forze dell'ordine.

L'avvocato: Dieci anni di sofferenza, ma il caso Aldrovandi ha aperto le coscienze L'Espresso di Anna Dichiarante
 

Il caso è chiuso. Il dolore, quello, è un'altra cosa. Era il 25 settembre 2005, dieci anni fa, quando Federico Aldrovandi, appena maggiorenne, moriva a causa delle violenze subite da parte di quattro poliziotti che, quella notte, lo avevano fermato in via dell'Ippodromo, a Ferrara. Una verità stabilita in via definitiva dalla Corte di cassazione, che, nel giugno 2012, ha riconosciuto Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani e Monica Segatto colpevoli di eccesso colposo in omicidio colposo.

Arrivare a questo risultato, però, è costato caro alla famiglia di Federico: quelli trascorsi sono stati anni di battaglie legali contro i tentativi di depistare o insabbiare le indagini e, soprattutto, di sofferenza. Di dolore, appunto, per la perdita di un figlio, ma anche per le provocazioni e gli attacchi infamanti lanciati da alcuni esponenti dei sindacati di polizia. Ma oggi, concluse tutte le vicende giudiziarie, c'è solo una cosa che Patrizia Moretti, la madre di Aldrovandi, intende fare: “Vuole ricordare l'anima di Federico con una festa, vuole accantonare tutto il male subito in questi dieci anni e pensare a tenere viva la memoria del figlio”, dice Fabio Anselmo, l'avvocato che ha seguito la famiglia Aldrovandi in questo lungo e tormentato percorso.


Per questo, per il 25 e il 26 settembre, a Ferrara, sono state organizzate varie iniziative . In particolare, un incontro per riflettere sull'opportunità di introdurre in Italia il reato di tortura e, poi, la festa. Quel concerto voluto dalla Moretti che sabato prossimo porterà in piazza Municipale tanti gruppi musicali, tra cui i 99 Posse: “Patrizia vuole vedere il centro cittadino riempirsi di ragazzi per rivedere, nei loro volti e nei loro balli, il volto stesso di Federico. Perché suo figlio smetta di essere un 'caso' e di lui si perpetui una memoria condivisa, partecipata in quella maniera gioiosa che appartiene solo ai giovani”, continua Anselmo.

Che quello di Aldrovandi sia stato un caso, però, è innegabile: dopo di lui sono morti in circostanze analoghe Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e altri, ma forse non ci sarebbe stata una reazione così forte da parte dell'opinione pubblica, se non ci fossero stati già la storia e l'esempio di Federico a fare da monito. “Il caso ha aperto le coscienze, ha creato un problema all'interno dell'opinione pubblica - prosegue l'avvocato -. Rispetto a precedenti come quello di Carlo Giuliani o della scuola Diaz a Genova, la morte di Aldrovandi non ha potuto essere condita con argomenti di tipo politico. La disinformazione è stata più difficile. Il fatto che lui avesse appena 18 anni, fosse solo, disarmato e incensurato al momento del fermo, ma pure il fatto che frequentasse normalmente la scuola e provenisse da una famiglia medio-borghese come tante, hanno reso meno credibile il tentativo di far passare che fosse un sovversivo, un tossico, un violento”.

La domanda sorta nell'opinione pubblica, insomma, è stata: com'è potuto succedere che un ragazzo sia morto mentre si trovava in custodia alla polizia? Secondo Anselmo, non si poteva sostenere che si fosse trattato di un'emergenza sul piano dell'ordine pubblico ed è stato impossibile, alla fine, nascondere che ci sia stato un uso sconsiderato di forza nei confronti del soggetto fermato. Qualcosa che sarebbe potuto accadere a chiunque, ecco quel che ha scosso davvero la gente.

E il merito di aver resistito e portato avanti una dura lotta va alla famiglia, alla grande volontà con cui si è opposta a decisioni frettolose o superficiali da parte dei magistrati che indagavano, ma anche al coraggio con cui ha sopportato le luci dei riflettori, nonostante il dolore, per difendere la memoria di Federico. In tutto questo, la presenza costante dell'avvocato Anselmo è stata decisiva: “Il mio lavoro è stato molto difficile, ma mi ha dato una grande soddisfazione constatare che i giudici, nella sentenza di condanna, hanno riconosciuto sia il valore delle indagini difensive che ho svolto sia il merito di aver suscitato dibattito, di aver creato un vero processo mediatico, impedendo così che il fascicolo fosse archiviato e si verificasse un caso di denegata giustizia”.

Un lavoro appassionato quello di Anselmo, che, nel corso degli anni, è diventato il difensore di fiducia dei Cucchi, della sorella di Uva, ma pure della famiglia di Davide Bifolco e di quella di Michele Ferrulli, così come di numerose altre con vicende simili: “Non dimentico quanto è stato terribile il processo per la morte di Cucchi e nemmeno tutte le sconfitte subite nel corso degli altri procedimenti. Ho anche pagato in termini personali, infatti ho avuto indagini a mio carico. Qualche volta mi chiedo chi me lo faccia fare... Ma, poi, guardo negli occhi Patrizia, Ilaria, e vedo sui volti dei familiari di queste vittime una carica di umanità enorme. E vado avanti”.

Se, a distanza di dieci anni dalla morte di Federico, la sua famiglia cerca un po' di pace per imparare a convivere con il lutto, ci sono altri casi che, invece, attendono ancora una soluzione in sede giudiziaria. E grandi novità, a breve, ci saranno nell'inchiesta Cucchi, come annuncia lo stesso Anselmo con la voce piena di speranza.

Nessun commento:

Posta un commento