sabato 28 maggio 2016

Gli esperti virologi sul caso della donna colpita da un super-batterio resistente ai farmaci: "Siamo preoccupati ma non spaventati".

Il caso della donna colpita negli Stati Uniti da un'infezione causata da un batterio resistente agli antibiotici ha destato allarme. Di fatto però, spiegano gli esperti, questo è un caso limite ma il fenomeno è in atto da anni.

BATTERIO"È la prima volta negli Stati Uniti - spiega Gianni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità - e il caso ha destato preoccupazione perché la resistenza dimostrata da questo batterio è proprio contro una classe di antibiotici che è considerata come l'ultima frontiera terapeutica. Occorre però ricordare che casi come quello della donna americana, sono piuttosto rari".
Dalle analisi degli esperti del dipartimento della Difesa americana è emerso che il batterio resistente appartiene a un ceppo di escherichia coli: "Un batterio presente nell'intestino umano e animale - spiega il virologo Fabrizio Pregliasco ad HuffPost - fa parte della nostra flora intestinale. Alcune varianti però possono diventare 'cattive' e possono portare anche al decesso".

Ma perché i batteri stanno sviluppando la resistenza agli antibiotici? "Quando assumiamo un antibiotico - spiega Pregliasco - comincia dentro di noi una sorta di lotta tra guardie e ladri. Il batterio col tempo 'spunta la lama' e diventa sempre più resistente al farmaco. Il farmaco sostanzialmente cosa fa? Come se fosse un granellino, si inserisce all'interno dei meccanismi per la riproduzione del batterio e la blocca". Fin ora sono stati studiati quasi tutti i sistemi riproduttivi dei batteri ma "da anni non si trovano nuovi antibiotici, l'organismo quindi assumendo sempre lo stesso tipo di farmaco diventa resistente. Ci sono vari problemi: le ricerche sono diventati più costose ma anche più difficili, perché i sistemi di riproduzione batterica sono stati tutti esplorati, quindi nuove armi, al momento, non ce ne sono".
Secondo un rapporto britannico, "Review on Antimicrobial Resistance", voluto dal premier David Cameron a metà del 2014, le infezioni per le quali non avremo farmaci a disposizione potrebbero arrivare a uccidere 10 milioni di persone: una ogni tre secondi. C'è da preoccuparsi? "L'Organizzazione mondiale della sanità, ministero italiano della Salute hanno già lanciato l'allarme da diversi anni. Quello americano è un esempio limite ma di fatto il problema c'è e da tempo - risponde il virologo - non c'è da spaventarsi ma da preoccuparsi sì. Per ora le cose che possiamo fare è limitare l'uso degli antibiotici solo quando necessari: i pazienti devono stare attenti al dosaggio, perché se si assumono con frequenza il batterio si abitua più facilmente. È necessario rispettare i tempi, perché l'antibiotico porta alla guarigione in pochi giorni però, se non si continuare ad assumere il farmaco, non si debellano tutti i batteri presenti. Se si smette di assumere l'antibiotico e non sono stati 'uccisi' tutti i batteri, quelli "sopravvissuti" possono sviluppare una forma di resistenza. I medici, dal conto loro, devono usare le prescrizione con cautela. È in oltre necessario un uso responsabile degli antibiotici negli allevamenti. In Italia gli allevatori si sono dati un codice, ma ciò non è successo per il resto del mondo. Se l'antibiotico viene somministrato al pollo, a esempio, per farlo sopravvivere, l'antibiotico si disperde nell'ambiente, e i batteri che sono in quell'ambiente possono sviluppare resistenza".

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