domenica 19 giugno 2016

Daccapo e dal basso, non ci sono altre vie.

C’è vita tra le mura dello spazio occupato Spint Time Labs, a Roma
di Action diritti in movimento, SpinTime Labs e centro sociale La Strada
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In tutto il mondo occidentale si vanno affermando forze sociali, movimenti, opzioni politiche o partiti, tra loro diversi che hanno però un punto in comune che li caratterizza: la lotta alle oligarchie e al predominio della finanza internazionale intesa come il governo di un gruppo ristretto di persone, i quali componenti politici hanno più un interesse proprio che quello generale dello Stato e della società. Questo processo è il prodotto di un conflitto impari tra parti dell’umanità e il neoliberismo che dura ormai da alcune decine d’anni, uno scontro che ha avuto anche momenti alti di confronto da Seattle a Genova, ma che non riuscendo ancora a sedimentare una nuova visione di società in grado di dare speranze chiare e prospettive univoche si manifesta nelle modalità più diverse nella forma di una contrapposizione funzionale all’esistente. Una contrapposizione che punta ovunque a conquistare la maggioranza parlamentare e usa il “movimento” come strumento per realizzare l’obiettivo di un nuovo governo. L’opzione democratica è la più diffusa o per lo meno dichiarata, ma non è necessariamente l’impronta fondamentale di questo processo che anzi si alimenta spesso di pulsioni legalitarie o dal forte tratto autoritario.

Le storie nazionali o continentali e le vicende politiche interne dei singoli paesi influenzano in maniera considerevole la forma, i riferimenti e l’immaginario di queste forze, ma è un fatto che il loro emergere ha sconvolto la scena politica, influenzando o travolgendo i partiti tradizionali. Tutti i partiti. Ma sono quelli di sinistra che subiscono maggiormente l’emergere di una nuova chiave di lettura del “cambiamento” che ne mina egemonia culturale e “funzione storica”. Anche questo processo avviene in forma diversificata da paese a paese, a volte coinvolgendo direttamente le forze di sinistra o parti di essa. Quello che si può dire è che li dove la sinistra modifica la sua collocazione nei confronti del neoliberismo, recuperando il piano del contrasto ai suoi effetti peggiori, riesce a mantenere un ruolo sociale. Dove ciò non avviene o è in ritardo, ne viene inevitabilmente travolta.
Queste due considerazioni superficiali, cioè l’affermarsi di forze sociali che si candidano a governare la transizione verso una società antioligarchica, e la sconfitta della visione di sinistra di questa transizione accusata di complicità e collateralismo con i poteri forti, sono i dati caratteristici di questa nuova fase. Peculiarità con cui dobbiamo necessariamente fare i conti perché condizioneranno la politica e il governo dei prossimi anni.
Anche nel nostro paese, anzi soprattutto nel nostro paese a causa del peso che storicamente la sinistra ha avuto nelle sue diverse componenti, questi due elementi si stanno inesorabilmente manifestando con una forza e una estensione che altri paesi non conoscono. Per le caratteristiche della scena politica italiana quella del Movimento 5 Stelle è una vera è propria “rivoluzione copernicana”, pari almeno all’involuzione impressa dal Pd renziano al governo del paese e ai suoi caposaldi costituzionali. Anche se questo processo data ormai da alcuni anni è indubbio che l’avvento del “Partito della Nazione” ne sta accellerando crescita e diffusione.
Ancora una volta l’Italia si dimostra essere un “laboratorio politico” avanzato nel continente europeo, come già è avvenuto in altre epoche, in cui si scontrano tendenze che altrove sono solo accennate o vissute con meno lacerazione. Per noi è decisamente più scomodo avere a che fare con il M5S invece che con una Podemos o una Syriza italiana, ma “Hic Rhodus, hic salta!” avremmo detto una volta. La storia del nostro paese stretto tra la tempesta della follia neoliberale e la responsabilità di una intera classe politica corresponsabile e asservita, ci consegna questo superamento delle forme tradizionali dell’opposizione e del movimento sociale. Un superamento in grado di fare a meno anche delle idee della sinistra radicale e delle scarse forze della sinistra sociale e di movimento, come dimostrano i dati delle elezioni amministrative. Nella tempesta perfetta che ha travolto la sinistra cittadina delle maggiori metropoli si salvano solamente alcune esperienze significative, che segnalano l’esistenza di una residua capacità a sinistra di saper intrepretare la modernità agendo in discontinuità con la tradizione del peggiore centrosinistra e una decisa innovazione sociale e culturale. Napoli soprattutto, ma anche le Coalizioni Civiche che hanno animato a macchia di leopardo questa campagna elettorale: da Bologna all’esperienza del Municipio di Garbatella a Roma. Realtà in cui un pensiero e una pratica nuova hanno saputo confrontarsi efficacemente, seppur da punti di vista e obiettivi differenti, con i temi del radicamento sociale e del radicalismo politico come antitesi al collateralismo e all’involuzione identitaria.
Ma se oggi è difficile immaginare che da queste esperienze residuali o peculiari come Napoli, possa nascere a breve un nuovo processo politico, è a questi esperimenti che dobbiamo guardare per trarre degli insegnamenti per il prossimo futuro. Non è il riverbero della pratica di una sinistra resistente alla Sinistra Italiana che ci aiuterà ad attraversare il deserto, questa sinistra ha esaurito la sua funzione anni fa quando dopo Genova le difettò il coraggio di affrontare i temi posti da quel movimento. Lì cessammo di avere un funzione sociale e politica per quelle 300.000 persone che avevano chiaro il problema dell’1 per cento che detiene il controllo del mondo. Una crisi che si è trascinata fino al 15 Ottobre 2011, come avviene spesso nella nostra storia, quando è definitivamente tramontata la possibilità di far resuscitare quell’ipotesi politica nella testa e nel cuore del nostro popolo. Anche per nostra evidente incapacità di interpretare quel tornante della politica italiana.
Il tema che segnaliamo come dato politico di fase e su cui vorremmo confrontarci con tutti, è che una nuova idea della trasformazione sociale va ricostruita nel rapporto diretto, di confronto-scontro, con le caratteristiche che ha assunto il processo politico concreto nel nostro paese e soprattutto nella nostra città. Non si tratta di diventare grillini né di rieditare una nuova forma di collateralismo di cui non se ne sente proprio la mancanza. Si tratta invece di sperimentare, nella pratica quotidiana e nel confronto politico, la possibilità di contribuire per quanto ci compete alla realizzazione di un processo di partecipazione della città alle decisioni fondamentali che la riguardano, stimolando meccanismi di democrazia e di controllo dal basso. Si tratta di sperimentare la possibilità di costruire processi di inclusione sociale e di lotta alla povertà e alle diseguaglianze nel vivo di questo nuovo processo. Si tratta di disegnare e praticare una visione della città come bene comune e delle sue risorse come proprietà collettiva in grado di restituire diritti e opportunità a tutti. Si tratta di sfidare il governo della città sui punti fondamentali e dirimenti del suo sviluppo e nel farlo ricostrire la nostra identità come forza viva della trasformazione sociale.
La sinistra sociale e di movimento, se vuole ancora avere un ruolo, deve cimentarsi con un nuovo inizio e lo stesso deve fare la sinistra radicale e soprattutto quella diffusa sensibilità intellettuale, politica e ambientale che fino ad oggi è rimasta a guardare al riparo della sua collocazione, salvo lamentarsi a ogni piè sospinto. Il processo che stiamo vivendo azzera definitivamente rendite di posizione e supposte egemonie culturali. Daccapo e dal basso non è più un opzione tra le tante, è la sola che abbiamo di fronte.
Abbiamo ben chiari i limiti oggettivi e soggettivi che la realtà ci consegna. Ma per quanto difficile questa è una strada. Tra l’altro una strada obbligata proprio a ragione dei riflessi autoritari e legalisti presenti nel nuovo corso della politica italiana ed europea, dove pulsioni xenofobe e poteri commissariali si rincorrono come due facce della stessa medaglia. Qualunque altra opzione rischia solo di fare il verso alla conservazione di un esistente da cui non ci è venuto nulla di buono. E non ci interessano. Tra il “vecchio che muore” e il “nuovo che non può nascere” scegliamo di stare dalla parte della vita.
#PoveraRoma
#VitedaScarto

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