venerdì 26 agosto 2016

Terremoto. Fabrizio Curcio, capo Protezione civile: "Capisco la solidarietà, ma siamo anche troppi. Ridimensionare presenza soccorsi".




Lo ha detto il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio, riferendosi alle difficoltà di viabilità appena fuori dalla zona rossa di Amatrice, causata dal traffico e dalle tante persone accorse.
Una lunga coda che parte all'altezza del ristorante Giovannino e prosegue fino all'ingresso del Paese complica il transito dei mezzi di ogni genere dell'esercito, polizia, ambulanze, Protezione Civile e carabinieri da e verso Amatrice. Fuori dalla zona rossa ci sono migliaia di persone di ogni genere, non solo operatori di soccorso e giornalisti, ma anche curiosi.

I soccorsi della guardia di finanza: si scava tra le macerie

"C'è una presenza importante, e bisogna rendere più sicuri i lavori nella zona rossa", ha chiarito Curcio, dopo che una nuova scossa di terremoto ha reso inagibile anche la strada verso Amatrice che passa attraverso le frazioni di Pesco e Cascello. Le case di questi borghi, già molto compromesse dalle scosse di ieri, oggi rischiano di crollare sulla strada, percorribile fin da ora soltanto dai mezzi autorizzati e dalle auto già incolonnate sulla statale. "Come vedete c'è anche troppo. Serve un po' di tranquillità, serve il dimensionamento giusto di chi assiste le persone. Serve un coordinamento. Stiamo comunque parlando di un evento successo poco più di ventiquattr'ore fa. A volte ci si lamenta perché non ci sono i soccorsi, ma come vedete non è questo il caso. Ora però serve ridimensionare nel modo giusto".
Curcio lancia un messaggio importante a chi vuole contribuire: "Chiedo di non inviare cibo nè indumenti, non abbiamo carenze, il modo migliore di aiutare è l'sms solidale al 45500".
I soccorsi restano molto complicati proprio per la difficoltà di accesso alle aree colpite dal sisma. A raccontarlo a Lapresse è un vigile del fuoco della provincia di Frosinone, catapultato a notte fonda dalla sua casa verso l'area del sisma. "Certo che è peggio dell'Aquila, non ci sono dubbi: mancano basi logistiche, tutto è molto più disagiato e già da ieri si sono registrati i primi cedimenti emotivi" spiega. "Non abbiamo a disposizione centri abitati grandi, come poteva essere L'Aquila, quindi fino ad ora non è stato possibile allestire campi-base per permettere ai soccorritori di riposare e dare un cambio turno", racconta al telefono con la voce stanca e il tono di chi ha ancora la forza di scavare. "Nessuno di noi da ieri mattina è riuscito a riposare, non abbiamo neanche una tenda dove poterci cambiare. I luoghi devastati dal terremoto sono isolati e impervi: non abbiamo strutture grandi e spaziose, tipo scuole o campi sportivi, per poter mettere una tenda per noi. Vivere da un giorno e mezzo sotto le macerie tirando fuori corpi di bambini è drammatico. Alcuni di noi non hanno potuto continuare a lavorare perché hanno ceduto emotivamente avendo lasciato a casa figli e mogli dell'età delle vittime". Il suo non vuole essere una "lamentela", ci tiene a precisarlo. È abituato a stare giorni intere in mezzo alle tragedie. "Ma i terremoti sono diversi - sottolinea - quei rumori, il boato che precede le scosse, il dolore muto di chi attende alle nostre spalle che vengano salvate le vite dei loro cari. E' una cosa che non si può fare per 36 ore consecutive. E non parlo di fatica fisica: si rischia di morire, dentro".

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