martedì 27 settembre 2016

Dalla crisi al post-capitalismo

Dalla crisi al post-capitalismo
leggilanotizia. sergio bellucci net left
Bologna. Paul Mason, con il suo Post-capitalismo, è in Italia. Leggilanotizia.it e Net Left insieme alla fondazione Claudio Sabattini hanno voluto organizzare un primo incontro per entrare nel merito  della sua proposta. L'appuntamento è per venerdì 30 settembre, ore 17,30, alla Cgil di Bologna, in via Marconi 67/2, e interverranno, oltre all'autore, Sergio Bellucci, Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo.
Parlare di post-capitalismo è un'occasione, un bisogno o una necessità? Da qualunque di queste affermazioni si parte si possono dipanare mille discussioni, mille soluzioni, mille opzioni politiche. A seconda del giudizio che si dà della fase storica, infatti, si possono spingere gli eventi, costruire conflitti, dare “senso” al proprio impegno politico e sociale, sempre pensando di stare operando per una società più giusta, più equa o addirittura, più libera. Ma solo chi comprende il vero senso della fase potrà traguardare la propria azione per produrre un aumento del grado di libertà del fare umano.
Molti hanno parlato della crisi del 2008 come di una crisi sistemica, ma poi non ne hanno fatto discendere tutte le conseguenze, con un retro-pensiero che ci consegna una sfera della politica che, consciamente o inconsciamente, pensa di “ricostruire” equilibri economici e sociali o produrre conquiste nuove, restando con la stessa cultura, le stesse proposte, spesso le stesse persone.
Proviamo a ricapitolare. La sinistra, in particolare quella europea, si trova ad un bivio della sua storia. Questo bivio si è prodotto con l'esaurimento delle condizioni (produttive, lavorative, distributive e istituzionali) che aveva duramente lottato per conquistare. La sua crisi non nasce, come vorrebbe la vulgata prodotta dal mainframe massmediatico (interessato alla costruzione di un disincanto totale, quel crogiuolo entro il quale far corrodere idee, lotte, capacità di costruzione di senso alternativo, strutture organizzate o slanci movimentistici, per piegare in permanenza i comportamenti sociali al mero consumo) dal “tradimento di qualche gruppo dirigente della sinistra”, ma dall'esaurirsi delle letture che di questi fenomeni, intrinseci del capitalismo, avevano fatto le varie sinistre nel '900. Tutte. Non dalla fine del dolore o delle diseguaglianze. Il nuovo non è automaticamente meglio, ma sicuramente diverso. Certo, in questi anni di errori ce ne sono stati; singoli “tradimenti” e “accomodamenti” anche. Processi di omologazione individuale e talvolta collettiva pure. E la lotta per un cambio totale (e non semplicemente “generazionale”) dei gruppi dirigenti della sinistra è ancora un campo non risolto. Anzi. Sia sul piano strettamente politico (le rappresentanze istituzionali) sia sotto il profilo culturale (gli intellettuali che calcano riviste, quotidiani, accademie, ecc… e che, spesso e da decenni, spiegano, dopo le sconfitte, le motivazioni di tali disastri rilanciando le proprie letture appena sconfitte) la continuità è sconvolgente. E non solo in termini personali, ma soprattutto in  termini di proposta culturale. La perenne riproposizioni, nella sostanza, di soluzioni e proposte che attingono alle necessità che erano valide qualche decennio or sono, non fanno fare un passo in avanti alle necessità del conflitto odierno, anzi ne impediscono il dispiegarsi o il riconoscersi come fenomeni generali.
L'impotenza finale di questo grande impasse  si concretizza nella deriva culturale e nella perdita di orizzonte, ormai inarrestabile, sia delle sinistre che hanno nel governo il loro collante e nella totale inefficacia sia, spesso,  nella sudditanza delle sinistre che vorrebbero essere alternative, ma che poggiano le loro analisi e proposte su schemi ormai consunti e inefficaci e si obbligano ad accordi subalterni con la sinistra di governo. Come ci insegnava Ingrao, per fare politica non basta né l'indignazione, né riproporre l'antica lotta tra poveri e ricchi. Servono letture aggiornate del capitalismo e delle sue dinamiche nuove. Come accadde ogni volta che il capitalismo cambiò pelle.
Occasione, bisogno o necessità, dunque? Se pensiamo che sia una occasione, sotto sotto intendiamo che l'attuale formazione economico-sociale sia una struttura in grado di ritrovare un proprio equilibrio e che l'attuale crisi sia una fase transitoria per poi riprendere la strada della redistribuzione di nuovi equilibri sociali, diritti e regole per rendere più stabile e giusta l'attuale società. Se si crede che sia un bisogno si è convinti che l'attuale crisi apra a bisogni redistributivi nuovi, che l'impegno politico si possa dispiegare nel riportare i rapporti tra le classi ad una fase nella quale la distribuzione della ricchezza, i rapporti tra i poteri delle classi, ricostituisca (o costituisca) un livello di eguaglianza più alto dell'esistente. Nel primo caso si resta all'interno dell'alveo della storia di molti partiti socialdemocratici europei.
Nel secondo caso si ipotizza il rilancio del modello di quella sinistra che, nello scontro tra il capitale e il lavoro salariato, aveva creato le condizioni utili alla conquista di molti diritti, ma che, paradossalmente, aveva finito per congelare l'orizzonte, individuale e collettivo, a quella dimensione salariata che, pur avendo molti più diritti che in passato, restava subalterna nella capacità di oltrepassare se stessa nella propria condizione. In entrambi i casi, infatti, resta introiettato il pensiero che la guida della capacità produttiva della società, dell'economia, dei rapporti sociali, resti in mano al mercato capitalistico e che alle classi subalterne non resti che strappare pezzi di libertà o diritti ma restare nello schema salariato.
Questa duplicità della sinistra novecentesca è ormai profondamente in crisi, in entrambe le versioni. Nuove o vecchie che siano le sigle con le quali ci si presenta. Entrambe le culture, infatti, si stanno infrangendo sulla grande biforcazione che la storia sta proponendo, in questo secolo, all'umanità.
Per questo indicare la concretezza del post-capitalismo è, politicamente, una necessità. È la qualità della crisi che impone schemi nuovi. Non solo per gli squilibri redistributivi della ricchezza prodotti in questi anni, per i drammi della riduzione delle politiche di welfare state, per le differenti distribuzioni di risorse tra il nord e il sud del mondo; non solo per l'impatto che lo stravolgimento che la tecnologica sta producendo nel mondo del lavoro; non solo per le potenzialità che la tecno-scienza ci ha messo nelle mani, quella di poter intervenire sulla evoluzione della vita nel pianeta e della stessa specie umana; non solo per l'impatto che il fare umano ha prodotto sugli equilibri della Terra e che sta giungendo a quel punto di non-ritorno che gli scienziati avevano indicato come totalmente distruttivo dell'habitat che c'era stato consegnato dalle generazioni precedenti. Sono tutti questi elementi di “crisi” che si sommano a creare un quadro evolutivo che la politica sembra incapace a mettere a fuoco. La qualità nuova di questo scenario non consente di restare nel proprio percorso politico, culturale, scientifico, economico, dei consumi.
Paul Mason ci indica alcuni dei fattori di questa fase di passaggio, anche se sconta una lettura che sembra indicare una sorta di automaticità nello sviluppo delle contraddizioni che facciano superare l'attuale crisi. Di Paul Mason siamo obbligati ad accettare il terreno del confronto, quello dei processi di trasformazione, integrandolo con la necessità di una proposta politica che sappia dislocare le nuove forme di conflitto in grado di espandere le contraddizioni nuove che attraversano le società contemporanee, praticando la conquista di nuovi spazi di socialità non mercantili.
Le contraddizioni di questo capitalismo che ha incontrato il digitale, infatti, stanno producendo dei veri e propri ossimori, come la forma della Sharing economy. L'economia della condivisione, infatti, lasciata alla logica del capitale proprio dalla incapacità di proposta della sinistra di offrire un orizzonte politicamente alternativo, sta producendo la forma più alta di concentrazione capitalistica mai conosciuta nella storia. Paradossalmente, infatti, questo nuovo modello poggia la sua potenza proprio sulla disponibilità alla collaborazione di miliardi di persone che, pur lavorando, non solo non vengono retribuiti, ma non riconoscono neanche la loro partecipazione ad un processo produttivo. E questo vale per tutte le nuove forme abilitate dall'innovazione, come le stampanti 3D, l'automazione robotica, le potenzialità di re-ingegnerizzazione dei cicli economici, sociali, della Pubblica Amministrazione. Lasciate alla logica del capitale queste potenzialità saranno piegate ad esiti devastanti sotto il profilo dei modelli di vari welfare costruiti nel mondo in questo ultimo secolo.
Compito della  nuova sinistra di questo secolo è quello di saper leggere queste nuove forme, indicare le nuove contraddizioni, proporre forme di economie che sappiano redistribuire le enormi potenzialità, economiche e sociali, anche in termini di riorganizzazione dei processi produttivi, delle relazioni sociali ed economiche che la tecno-scienza ci mette a disposizione. Partendo, in primo luogo, dalla comprensione dell'evoluzione delle forme e delle categorie del lavoro. La sinistra di questo secolo, infatti, non si potrà limitare all'organizzazione di conflitti capaci di strappare al capitale diritti e welfare, ma di organizzare forme alternative ed extra-mercantili di produzione, consumo e relazioni sociali. Oggi le tecnologie digitali abilitano a queste capacità.
Per fare questo la sinistra deve ripensare se stessa. Noi di Net Left, da oltre un decennio, pensiamo che sia possibile e necessario innestare questa nuova necessità nel solco dei conflitti e delle forme organizzate che, nel '900, hanno combattuto, costruito e conquistato i diritti civili, politici e sociali. Ma per fare questo c'è bisogno di un riconoscimento reciproco tra culture politiche e la disponibilità delle vecchie forme organizzate di innovare culturalmente e organizzativamente. Per impedire che questo tornante della storia sia egemonizzato nuovamente dalle forme mercantili, serve una capacità nuova delle sinistre esistenti di riconoscere le novità e saper donare, al cambiamento richiesto, tutte le potenzialità accumulate fino ad ora.
Per questo abbiamo voluto questo incontro di Bologna tra Paul Mason e alcune tra le strutture più significative che la storia del movimento operaio ha prodotto nel nostro paese. Noi di Net Left siamo convinti che questo incontro sia proficuo non nel convincere l'uno o l'altro delle tesi altrui, ma per rendersi disponibili al salto quantico che la politica di questo secolo necessita, ben oltre i continui rimpasti delle culture del '900 che i pezzi delle vecchie storie delle sinistre propongono ormai innocuamente.
(Sergio Bellucci)

Nessun commento:

Posta un commento