giovedì 20 ottobre 2016

Referendum, il Pd vuole rinviare i tagli anticasta. Dem in difficoltà sulla proposta M5S.

Ecco la scena. Martedì prossimo. Montecitorio, spalti stracolmi di attivisti pentastellati. “Venite – scrive Grillo sul blog – venite che lo spettacolo sta per iniziare”. In Aula arriva la proposta di legge a firma di Roberta Lombardi, combattiva pentastellata della prima ora, che prevede un taglio draconiano – del 50 per cento - degli stipendi dei parlamentari e dei rimborsi per “spese telefoniche e viaggi”. Si alza il capogruppo del Pd o chi per lui. E chiede il “rinvio del provvedimento in commissione”, con quello che in gergo parlamentare viene chiamato un voto procedurale. Rumori dalle tribune, scriveranno i resocontisti. 
 
PROTESTA M5SLa motivazione, del capogruppo o di chi per lui: “Occorre rinviare in commissione il testo perché non sono stati discussi gli emendamenti”. Il che, tradotto, significa che se ne riparla dopo il referendum del 4 dicembre, giorno del Giudizio sull’era renziana. Lo spettacolo, a quel punto, va inserito nel genere “corrida”: “La Casta – dice Roberta Lombardi ad HuffPost – è compatta contro i tagli degli stipendi. Sono mesi che faccio proposte al Pd, anche di mediazione, ma loro fanno spallucce quando si tratta di mettere le mani nelle loro tasche, quando invece devono colpire i cittadini la soluzione la trovano subito”.
Inciso, per i non addetti ai lavori: quando un provvedimento torna in commissione, si riparte daccapo, con una nuova calendarizzazione e con la successiva discussione degli emendamenti, alcuni dei quali sono lì già pronti, nero su bianco per favorire la perdita di tempo.
Regole, procedure, giochi di palazzo. Occorre ripartire dall’inizio, per raccontare questa storia di come il Pd stia cercando di disinnescare la “mina”, che rischia di far esplodere la sua campagna referendaria, tutta incentrata sul “taglio della Casta”. Perché così viene vissuta dal Pd la proposta Lombardi: come una “mina”. Se passasse, comporterebbe, da subito, 61 milioni di risparmi per le casse dello Stato sugli stipendi e 26 milioni sulle spese, secondo i calcoli dei Cinque stelle. Ovvero: una cifra superiore ai 58 milioni stimati dalla Ragioneria generale dello Stato che si risparmierebbero con la riforma costituzionale di Renzi. Ecco: la proposta pentastellata sarebbe un manifesto buono a oscurare quelli di cui è tappezzata l’Italia: “Vota sì per ridurre i costi della politica”.


L’allarme dentro il Pd è scattato in commissione già nei giorni scorsi: “Questa roba ci manda in crisi. Come facciamo a non votarla, proprio ora che stiamo girando l’Italia promettendo un taglio dei costi? Se la votiamo però il provvedimento se lo intestano loro e si depotenzia la nostra campagna sul referendum”. Soluzione? Non votarla, utilizzando ogni artificio. Si parte dalla melina in commissione. È lì che mercoledì sera a maggioranza (con l’aggiunta della Lega) è stato votato l’invio in Aula, in tutta fretta, senza discutere gli emendamenti e senza dare mandato al relatore: “Sarebbe bastata mezz’ora – dicono più parlamentari – perché c’erano solo 13 emendamenti ma col Pd non si ragionava”. Unici contrari al rinvio M5s e Sinistra Italiana.
Una mossa – quella di mandare tutto in Aula di fretta - “funzionale” a quella di martedì prossimo. Quando il Pd chiederà il rinvio in commissione proprio per discutere gli emendamenti, in modo da congelare il tutto, ricominciando daccapo: “Questa storia – dice Alfredo D’Attorre, Sinistra Italiana – è al limite del paradosso. Se imposti tutta la campagna sul taglio dei costi presentando la politica come un disvalore, poi non si capisce con quale coerenza ti sottrai alla discussione sullo stipendio parlamentari. Chi di antipolitica ferisce… di antipolitica rischia di perire…”.
È chiaro che l’M5s non resterà in silenzio, da martedì sera. Né porgerà l’altra guancia su un terreno dove il Pd mostra una clamorosa contraddizione, tra comportamenti parlamentari e manifesti con cui ha tappezzato l’Italia.

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