mercoledì 7 dicembre 2016

"Assemblea dell'11 dicembre delle Citta' in Comune: Valorizzare il lavoro fatto, cambiare metodo e prospettive". Intervento di Claudio Ursella



controlacrisi claudio ursella
"Un’assemblea che servirà a guardarci negli occhi e a parlarci con schiettezza, senza riserve, senza esitazioni, né, tanto meno, strumentalismi e opportunismi."
Questo l'auspicio del compagno Sandro Medici, per l'assemblea promossa dalla rete "Città in Comune", di domenica 11 dicembre a Roma: lo condivido appieno, lo prendo sul serio e comincio subito.


E comincio subito, "con schiettezza", dicendo che non mi piace il tono e i contenuti, o meglio l'assenza di contenuti, dell'appello che convoca l'assemblea: soprattutto non mi piace, quella vera e propria caduta di stile, per cui con la snobistica espressione "sgraziato risucchio populista", si liquida un fenomeno tanto inquietante quanto significativo, che è la risposta di massa alla crisi dell'Europa neoliberista, quella risposta che la sinistra non è riuscita a proporre.

Ma tant'è, gli appelli spesso si scrivono con il timore e la preoccupazione di sbagliare il primo passo, ancor prima di cominciare il cammino, e magari mediando sulla parolina per non scontentare nessuno. Quindi andiamo oltre e passiamo alla sostanza.
E la sostanza, è nella rete delle Città in Comune, un arcipelago di esperienze locali, nate nel corso delle ultime tornate amministrative, per dare voce e visibilità ad una sinistra esplicitamente alternativa al centrosinistra, in tutte le sue varie rappresentazioni, comprese le fatidiche "peculiarità locali", con cui spesso si cerca di salvare capra e cavoli: questa è la sostanza; ma nell'appello si è dimenticato di ricordarla. E' questo un "pezzo di lavoro", costruito con fatica e difficoltà, spesso in controtendenza e nell'isolamento, a volte addirittura scontando il "sabotaggio interno", ma che malgrado tutto, e a volte per il rotto della cuffia, e riuscita a sopravvivere anche alla verifica del risultato elettorale.

Un "pezzo di lavoro" frutto di un impegno che, come militante del PRC, conosco bene, avendovi partecipato, a volte con entusiasmo, a volte con molti dubbi, ma che ho sempre considerato imprescindibile. Un pezzo di lavoro "fatto": ma tutt'altro che concluso. Così oggi c'è un piccolo patrimonio di "lavoro fatto", che dovremo utilizzare e investire, comprendendo che la fase con cui ci misuriamo è nuova, e nuovo deve essere l'approccio... se non si vuole sperperare ciò che abbiamo prodotto.

E le opportunità ci sono, a volerle e saperle cogliere. Per esempio... la mia impressione, è che dopo le elezioni romane e i primi mesi della giunta Raggi, si stiano velocemente dissolvendo le suggestioni e le speranze di settori significativi dei movimenti sociali e conflittuali, e anche di settori di sinistra politica, circa un possibile ruolo del M5S nel dare una qualche espressione alle aspettative di cambiamento. Contestualmente, parlando con tanti compagni, sembra farsi strada la necessità di una riflessione seria sul tema della rappresentanza, rinunciando sia a delegare ad altri tale tema, sia a ritrarsi per "purezza ideologica" o in attesa di tempi migliori... i tempi sono questi e ciò mi sembra sia sempre più chiaro a tanti. E' un'opportunità, se la si sa cogliere.

Oppure: un mondo sindacale, al di fuori della CGIL, che il 21 ottobre, dopo tanti anni, ha avuto il coraggio di uno "sciopero politico", a difesa della Costituzione, ed esplicitamente in rottura con l'Europa politica e finanziaria, che ha ispirato l'attacco ad essa: uno sciopero "incredibilmente" riuscito nei numeri, a dimostrazione che c'è un mondo del lavoro che non accetta la passivizzazione, ne la semplice "capitolazione contrattata", a cui assistiamo da decenni di arretramento sindacale. E' un fatto, lo vogliamo assumere o facciamo finta di nulla?

E infine: il voto referendario... un voto composto di tante cose, sicuramente non tutte belle, ma un voto che si è espresso a prescindere dai ricatti dei mercati finanziari e dei loro portavoce, a prescindere dai "timori per la permanenza in Europa", a prescindere dalle preoccupazioni per la governabilità e la stabilità. Un voto per la Costituzione certo, e quindi in continuità con la nostra storia migliore, ma che non ha temuto la "rottura" con la nostra storia peggiore, quella degli ultimi 25 anni, da quando la democrazia è divenuta una variabile dipendente della governabilità e delle compatibilità economiche.

Queste sono opportunità. Ma si devono saper vedere e cogliere... cambiando l'approccio e facendo i conti con qualche fatto. E' un fatto per esempio quello che ci mostrano i dati del Censis: un forte calo del consenso all'UE, nel paese che un tempo era il più europeista d'Europa; e un 22% di italiani già pronti ad uscire dall'Europa, più o meno la stessa percentuale che c'era in Gran Bretagna, all'inizio della campagna per la Brexit... e sappiamo com'è andata a finire. Mentre noi continuiamo a discuterne (e a dividerci), con rigore e dovizia di dati e riferimenti teorici, M5S, Lega ed estrema destra, senza alcun rigore, con molta ambiguità, e soprattutto, senza mai dire cos'hanno intenzione di fare sul tema del debito, si preparano a cavalcare la tigre del malessere sociale.

Continuiamo a discuterne, è doveroso, anche perchè mi sembra che anche tra gli stessi firmatari dell'appello, le posizioni siano piuttosto articolate. Ma evitiamo di dividerci, assumendo che l'Europa non è un feticcio, ma un campo d'azione politica e di conflitto sociale; che se l'uscita dall'Euro, non è la soluzione, la permanenza nell'Euro, continuerà certo ad essere una disgrazia; e che il futuro dell'Europa, più che dal nostro percorso di ricostruzione di una proposta della sinistra, dipende da fattori economici e geopolitici, legati alla crisi dei processi di globalizzazione. E magari ricordandoci che in quel campo di azione politica, si è alternativi ai "Socialisti e Democratici Europei": come in Italia le esperienze delle Città in Comune, lo sono al centrosinistra.

E poi: finiamola con questa storia del "populismo", la parola magica che ci esime dal dovere di tornare a fare analisi della società e delle classi, di interrogarci su come è cambiato il mondo del lavoro, e di cosa è accaduto a quei ceti medi che un tempo erano garanzia di stabilità. Il concetto di "populismo" è una coltre di nebbia, che non fa vedere, e ci fa solo ritrarre, magari storcendo il naso.

Ma dietro quella coltre c'è un mondo di interessi, di bisogni, di paure e aspettative, che cambierà quest'Europa... in un modo o nell'altro. Perchè decenni di distruttive politiche del capitale, senza nessuno ostacolo, hanno prodotto un mondo nuovo, che si esprimerà, e non sarà ne la burocrazia di Bruxelles, ne qualche accorta misura di contenimento, uno zero virgola qualcosa in bilancio, ne il perbenismo di una sinistra piena di "grazia" a impedirlo.

Queste sono le opportunità a cui dovremmo guardare. In alternativa, c'è solo il vivacchiare racimolando qualche voto tra i fatidici "delusi del PD", che si sono svegliati un mattino, scoprendo che non avevano più il loro "partito di sinistra". O peggio, continuare a rincorrere il Bersani o il Cuperlo di turno... ma con chi ha di queste idee, almeno a Roma, abbiamo già chiuso.
La fase ci offre opportunità nuove: non facciamo le cose al vecchio modo.

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