domenica 4 dicembre 2016

Che male fanno i giornalisti che scrivono superficialmente di hacking?

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primo post rilanciato da un blog ONION


ONtro

Esimi Ricercatori questa domanda mi è stata rivolta parecchie volte nel corso degli anni, da ultimo anche da alcuni amici che avevano letto il nonPOST dell’ottimo Benny sul connubio tra media, tette e hacking… La risposta è semplice: moltissimo.
Il fatto che gli articoli in questione compaiano su giornali freepress od online scritti da giornalisti o blogger sottopagati non attenua minimamente le responsabilità della loro azione nefasta. Mi spiego meglio.

Quando un giornalista/blogger (di seguito il Superficialone) tratta di materie connesse all’hacking e più in generale alle nuove tecnologie non fa altro che copia/incollare qualcosa che nella migliore dei casi ha brillantemente tradotto con Google da un sito straniero e nel caso peggiore ha ripreso da un sito italiano tipo “conosco gente, che conosce altra gente che dice che…”
Penso che ci siano pochi casi come quello del digitale in cui non si fa nessuna ricerca della fonte: ricordate la foto del monopattino di Wozinak pubblicata dal Corriere?

Avete letto sul Sole 24 Ore dell’acquisizione di Starbucks da parte di Apple?
Ricordate il Cyberorco responsabile dell’uccisione di Sara Scazzi?
Siete tra i pochi fortunati che hanno potuto leggere la prima entusiasta stesura dell’articolo di Ninja Marketing sul Twitter Monument?
Vi ricordate quando Anonymous decise di distruggere Twitter?
Vogliamo parlare degli scoop delle Iene che intervistano comparse con la maschera di Guy Fawkes?
O le interviste di Repubblica frutto di collazione di materiale online?
Mi fermo qui, ma l’elenco delle bufale propinate dai Superficialoni per informazione sarebbe così lungo da richiedere un volume della Treccani.
Informare in questo modo cialtronesco su temi come quelli connessi ad hacking e hacktivismo non fa che mettere frecce nell’arco dell’Autorità. Invece di avviare un dibattito complesso su temi di una rilevanza sociale notevole, si forniscono strumenti a chi vuole rendere internet una sorta di Asilo Mariuccia per adulti.
La maggior parte degli internauti in rete cerca poche cose: pornografia, fashion, prodotti apple. Chiunque abbia un blog minimamente indicizzato dai motori di ricerca se ne rende conto dopo un giorno. Bene, i Superficialoni parlassero di tette, culi, telefonini, mutande da € 200,00 e borsette da € 1.500,00… Otterranno migliaia di contatti e i loro Editori saranno felici.
Applicare una logica di broadcast a fenomeni come l’hacking, oltre ad essere non etico produce risultati devastanti. Nel pubblico si crea questo “gusto” secondo cui l’hacker è un criminale, un esempio di devianza sociale da abbattere, nel migliore dei casi un autistico che andrebbe curato.
Quando un giornale online o cartaceo pubblica le pudenda di Scarlet Johansson, lo fa solo per ottenere migliaia di contatti/copie vendute a un pubblico di uomini afflitti dal “vizio del solitario”… Peccato che grazie alla copertura massiva che danno alla notizia poi l’Autorità si senta in dovere di dare l’ergastolo all’hacker che ha rubato la foto, col pieno plauso del pubblico pagante.
I provvedimenti che prende l’Autorità così brillantemente supportata dai Superficialoni alla fine levano spazio alle Comunità Hacker internazionali. La chiusura dei siti che illustrano le tecniche di hacking e dei siti per il testing di quelle stesse tecniche, l’infiltrazione nei Chan, alla fine vanno a nocumento dell’intera Comunità.
A tutti piace osannare gli hacktivisti dei paesi del Terzo Mondo, quando cercano di utilizzare le nuove tecnologie per ribellarsi alle dittature. Bene, se quegli stessi hacktivisti non trovassero in siti “occidentali” risorse di rete per addestrarsi all’uso delle tecniche di hacking, sarebbero completamente impotenti.
Ma, parliamoci chiaro, non è che ai Governi occidentali i summenzionati hacktivisti stiano molto più simpatici dei loro oppressori: meglio una democrazia esportata con ogni mezzo necessario, che le incertezze dei processi di autodeterminazione dei popoli innescati dalle nuove tecnologie.

Conclusioni

Concludo, miei esimi Ricercatori, ribadendo che continueremo sempre a spernacchiare le assurdità propinate da informazione su temi delicati come questi. Il Sottoscritto non è un hacker, né un fan dell’hacking senza se e senza ma. Come ho ribadito più volte ritengo che l’hacking sia un importante fenomeno, che richiede studi particolarmente attenti.
Sotto il profilo politico l’hacktivismo è forse l’unica idea realmente nuova e rivoluzionaria dai tempi dell’invenzione della democrazia rappresentativa e tutte le nuove idee richiedono tempo e un ambiente serio per crescere.
Comunque nel sito a fianco vendono scarpette Prada indossate da modelle nude, che giocano con l'ultimo modello di iPad...

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