giovedì 22 giugno 2017

Lavoro. Impiegati? No, "fornitori di servizi". Padroni? No, "clienti". Come cambia il contratto di lavoro

Intermittenti, intermediati online, part-time, a tempo determinato. Il contratto "normale" si è stabilmente sgretolato. Per capire cosa è successo, ecco un'analisi in forma di contratto.

L'Espresso Francesca Sironi
Impiegati? No, fornitori di servizi. Padroni? No, clienti. Come cambia il contratto di lavoro La fotografia del panorama lavorativo italiano la offre il rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie, pubblicato il 15 giugno dal ministero del Lavoro : il 70 per cento delle nuove attivazioni è a tempo determinato. Calano le transizioni verso il tempo indeterminato, arrivate a quota 499mila nel 2015, che invece si sono ridotte del 34 per cento nel corso del 2016. E questo riguarda solo i dipendenti, i subordinati. A loro volta un popolo sempre meno numeroso nel mare delle complesse forme di retribuzione. Se questo è il presente, e probabilmente il prossimo futuro, del lavoro nel nostro Paese, quello che manca è una serie di risposte istituzionali su come introdurre nuove forme di protezione sociale che sostiuiscano quelle un tempo garantite dai contratti a tempo indeterminato. È da questa osservazione che è nato il colloquio che segue. Ecco allora una riflessione sulla fine del contratto. Scritta come un contratto.

PREMESSO CHE:
(a) Il contratto da posto fisso conosciuto da diverse generazioni di impiegati dipendenti full-time a tempo indeterminato va gradualmente verso il tramonto.
(b) Il modello “lavoratore autonomo auto-imprenditore auto-assicurato” invece si diffonde.
(c) Il primo infatti perde centralità - in Italia secondo Eurostat è passato dal rappresentare oltre il 60 per cento dell’occupazione a poco più del 50 per cento - mentre il secondo non è più eccezione esclusiva dei professionisti.


1. OGGETTO DEL CONTRATTO
Oggetto del presente scritto è quindi lo sgretolamento del lavoro, o meglio lo slittamento in corso di milioni di occupati dall’essere arruolati attraverso «un contratto di lavoro al firmare contratti che hanno come oggetto una prestazione misurabile, la fornitura di un servizio o di un bene». Da impiegati a commercianti del proprio lavoro. È un cambiamento «economico, culturale e sociale» su cui occorre riflettere ancora e con nuovi strumenti. Perché se i dipendenti mutano in fornitori, i padroni in clienti, il lavoro in «bene sotto-utilizzato» da ottimizzare attraverso le app e se le imprese tendono «a dimostrare minore disponibilità a svolgere la loro (ma non solo loro) funzione assicurativa» (vedi punto 4) rischiando di trasformarsi in castelli il cui perimetro di affetto si restringe a chi sta dentro le mura, allora il ragionamento sulle cause, le conseguenze, i che fare restano ancora abbozzi incompiuti.

2. ESECUZIONE
È Giorgio Vernoni, ricercatore del Centro Einaudi di Torino, a provare a tracciare per questo colloquio alcuni schemi che servano così a ricostruire il volto dello sgretolamento in corso. Disegna allora su un foglio una linea. A un estremo pone il posto fisso: monocommittente; subordinato; di lunga durata; inquadrato in un orario; full-time; con luogo e postazione definiti. All’altro pone il lavoratore autonomo. In mezzo c’è la galassia degli atipici, della flessibilità, che va dai part-time involontari (in Italia superano del doppio la media europea, continuando ad aumentare) ai determinati, ai voucheristi in estinzione, ai finti freelance (sempre di molto superiori a Roma rispetto a Bruxelles), fino agli effettivi imprenditori di se stessi. Ora «non è in discussione la presenza di un contratto, ovviamente, per entrambi gli estremi della linea, quanto la sua natura». Perché, se il primo è un contratto di lavoro, il secondo diventa di fatto un rapporto commerciale. In mezzo, c’è il nuovo standard dei rapporti ibridi.
3. DURATA, RECESSO, RISOLUZIONE
«La premessa del tornello era la difficoltà dell’impresa nel valutare i risultati delle prestazioni dei suoi impiegati. Per questo pretendeva che il dipendente fosse a disposizione in un luogo definito (postazione) per un tempo stabilito. Per questo nel contratto di lavoro non è quantificato esattamente il prodotto (sarebbe considerato cottimo), ma solo la mansione. Ora la tecnologia rende invece sempre più facilmente misurabili le attività, in maniera puntuale. È possibile quantificare nel dettaglio la produzione di valore aggiunto, fino al costo di una mail. Così i processi produttivi sono andati via via segmentandosi». In compiti parcellizzati. Esternalizzati. Rivisti.

«Nella Fiat ante guerra entravano squadre di operai che si costruivano anche gli attrezzi». Ora uno stabilimento è segmentato in società diverse, a ognuna delle quali è richiesto un compito specifico. Lo stesso è avvenuto per i servizi. «Dall’industria manifatturiera, efficiente, capace, che esternalizza per esempio i cedolini degli stipendi, che non sono “core”», alle società che richiedono personale attraverso le piattaforme Web, alle sperimentazioni sulla fine dell’orario di lavoro. «Il principio è passato dalla “presenza a disposizione” al “serve questo output a questo prezzo”; se poi viene realizzato in uno spazio di coworking o al parco con un laptop non fa differenza».


4. CORRISPETTIVO E SPESE
Se tutto è misurabile, le aziende finiscono così progressivamente per trattenere (per ottimizzare, per farsi largo nell’affollata piazza globale) solo «le risorse chiave, le persone strategiche», che danno il maggior valore aggiunto, ponendo ai margini le altre. Questa forza centrifuga produce però un vuoto che istituzioni e mercato stentano a riempire. «Perché il costo del lavoratore è per definizione inferiore al valore aggiunto prodotto dal lavoratore stesso», riassume Vernoni: «E in quella differenza c’è sia una parte del margine di profitto, che è fondamentale perché esista l’impresa, sia la componente assicurativa del lavoro dipendente. Sul posto fisso l’assicurazione è maggiore e comprende malattia, maternità, infortuni, cali del ciclo produttivo, crisi passeggere, oltre alla previdenza sul futuro».

Mentre scivolando lungo la linea della flessibilità, verso l’autonomia, man mano queste garanzie si perdono, cadono, fino ad arrivare a zero. «Per questo le forme contrattuali flessibili, essendo meno assicurate, dovrebbero essere più remunerative». Condizionale d’obbligo, perché non è la condizione più diffusa. La mutazione da dipendente ad autonomo per essere sostenibile presuppone allora «di risolvere il rischio della monocommittenza con più committenti. Sta qui la differenza fra professionista e precario». Ma quando così non è? Chi si fa carico delle garanzie necessarie a tutelare il non-dipendente? «È evidente la tendenza a una sempre minore disponibilità delle imprese a svolgere una funzione assicurativa», più propriamente sociale, dice il ricercatore. Perché questa funzione costa. E dove si può evitare, si evita.


5. OBBLIGHI
La questione allora è come e dove stabilire un confine chiaro fra lavoro tipico/dipendente/assicurato e atipico/autonomo/non-assicurato lungo la linea dello sgretolamento, «una questione ineludibile», spiega Vernoni, perché «se l’evoluzione di cui stiamo discutendo è un tema internazionale, globale, ormai storico, sono italiane alcune grandi contraddizioni, dovute a regole inadeguate sul cambiamento che è in atto. È fondamentale ristabilire il prima possibile un punto di accordo sulla componente assicurativa del lavoro, formando davvero - come auspicano da anni economisti quali Tito Boeri, il presidente dell’Inps - un modello contrattuale capace di raccogliere la stragrande maggioranza dei casi, e non solo una parte. In Italia, per non toccare le garanzie di un’estremità abbiamo bloccato, fino alle ultime riforme, la distribuzione delle tutele ad altri. Realizzando così il disegno più cinico: scaricare la flessibilità solo sui nuovi contratti, solo sull’ingresso nel mercato, con sempre minori tutele. Doveva essere una parentesi temporanea, ma siamo a trent’anni di transizione, di precarietà, senza soluzioni incisive. È più di una generazione».

6. CLAUSOLE
Lungo la linea dello sgretolamento scorrono anche alcune altre implicazioni che vale la pena ricordare.

6.1 Carriera. «Nel passaggio da dipendente a fornitore un lavoratore dovrebbe imparare ad aumentare il proprio potere negoziale», visto che non c’è un quadro contrattuale capace di garantire una progressione interna.

6.2 L’esplosione della “gig economy” - i lavoretti gestiti attraverso le app nei tempi liberi per cifre minime sono «integrazioni al reddito che rispondono alla frammentazione di cui parlavamo, ma anche a un’altra osservazione chiave: il lavoro è un bene sottoutilizzato. Come la macchina ferma 23 ore al giorno, per la quale serve (ancora) l’autista di Uber, così per le persone, c’è un’offerta di lavoro esorbitante su cui insiste il mercato della “sharing” economy, perché i redditi principali non sono più sufficienti».

6.3 Lo sgretolamento di cui qui si parla ha ovviamente anche una correlazione diretta con il problema della disuguaglianza. «Nelle economie avanzate la produttività del lavoro è aumentata in misura largamente superiore rispetto ai salari reali». Economisti e Nobel di diverso orientamento riconoscono ormai «che il meccanismo di redistribuzione, già non ottimale, si sta inceppando ulteriormente».

7. CODICE ETICO
Che fare? «È evidente che aprire un confronto sulla natura e i confini della responsabilità sociale d’impresa», quella reale, non di marketing, «oggi è urgente. Lasciare irrisolto questo nodo, insieme a quello fondamentale della corretta definizione della copertura assicurativa del lavoro dipendente, significa far sì che la quota di coloro che stanno fuori dalle garanzie aumenti progressivamente. Fino ad esplodere», riflette il ricercatore del Centro Einaudi. Che racconta: «L’altro giorno un ex dirigente di una grande azienda piemontese mi ha detto lui stesso: «Gli imprenditori dovrebbero porsi queste domande, se non vogliono finire come i banchieri».

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