domenica 23 luglio 2017

Rapporto UE. L’Italia patria di «Neet», disoccupati e working poors

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L’Italia si conferma la patria dei Neet, i giovani che non hanno e cercano un lavoro né sono impegnati in un percorso di studi o di formazione (Not engaged in education, employment or training): abbiamo la percentuale più alta in Europa. Il dato emerge dal rapporto 2017 Employment and Social Developments in Europe Review, diffuso ieri dalla Commissione Ue. Alte anche le percentuali di disoccupazione giovanile e di presenza di lavoratori autonomi, mentre nella fascia 15-24 anni si concentrano precarietà, paghe basse e povertà: tutti elementi che disegnano un quadro piuttosto sconfortante.
NEL 2016 LA percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni nell’Ue che non erano occupati, non studiavano e non facevano stage o apprendistati, insomma i Neet, è stata dell’11,5%, in calo rispetto al 2015: in Italia la cifra è salita fino al 19,9%, e anche se è risultata in calo rispetto al 21,4% del 2015 e al 22,1% del 2014 (il picco è del 2013, al 22,2%), rimane comunque la più alta della Ue.
L’Italia ha avuto il primato europeo dei giovani Neet anche nel 2015, nel 2014 e nel 2013. Nel 2012 era stata superata dalla Bulgaria, al 21,5%, mentre il nostro Paese era al 21%. La Bulgaria oggi è al 18,2%.
IL REPORT EVIDENZIA non solo le difficoltà che i giovani incontrano nell’affacciarsi al mondo del lavoro, ma anche tutte le conseguenze che questo comporta. Nel 2016, la disoccupazione italiana fra i 15 e i 24 anni è stata al 37,8%, in calo rispetto al 40,3% del 2015, ma comunque la terza in Europa dopo Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%). Dunque molto alta.

Ancora, tra le più elevate in Europa è la percentuale italiana dei lavoratori autonomi (22,6%): fascia di persone che sicuramente sono più scoperte sul fronte delle tutele, abbiano scelto o meno questo tipo di impiego. Chi riesce a trovare un lavoro, in più del 15% dei casi ha contratti atipici (fra i 25 e i 39 anni, nel Regno Unito è meno del 5%, dati 2014), è «considerevolmente più a rischio precarietà», e se ha meno di 30 anni guadagna in media meno del 60% di un lavoratore ultrasessantenne. Ne consegue che i giovani italiani escono dal nido familiare e fanno figli fra i 31 e i 32 anni, più tardi rispetto a una decina di anni fa e molto dopo la media Ue, che si arresta intorno ai 26 anni.
ALTRI DUE DATI che ci dovrebbero molto far pensare: la differenza fra uomini e donne che lavorano è al 20,1% in Italia, e il numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema (11,9%) è aumentato fra il 2015 e il 2016, unico caso in Ue con Estonia e Romania.
«Il mercato del lavoro italiano vive una condizione di debolezza strutturale – commenta la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti – Servono interventi alternativi alle politiche di soli sgravi, decontribuzioni e deregolamentazione, che sono state sempre accompagnate a continui tagli alla spesa pubblica e alla riduzione degli investimenti». Chiaro il riferimento alle ricette renziane e gentiloniane.
SECONDO LA CGIL la fotografia scattata dalla Commissione Ue «dimostra come l’incremento di investimenti pubblici e privati, così come indichiamo nel nostro Piano del Lavoro, debba essere al primo posto nell’agenda politica italiana».
«Il governo ha fatto poco o nulla per i nostri giovani e l’inerzia è sotto gli occhi di tutti», attaccano i Cinquestelle. Per il movimento guidato da Grillo «risulta evidente che Garanzia giovani ha fallito», mentre «cresce la povertà estrema nel nostro Paese, unico caso nella Ue insieme all’Estonia e alla Romania. D’altronde siamo uno dei pochi Paesi in Europa che non ha ancora introdotto una misura di sostegno come il reddito di cittadinanza».
CRITICHE AL GOVERNO e alla maggioranza guidata dal Pd anche da Nicola Fratoianni (Si): «Mentre quasi tutta la politica parla di falsi miti, di invasioni e di chiacchiere, la povera Italia macina record. Il 20% dei giovani fra i 14 e i 25 non studia, non lavora e non cerca un lavoro. Il numero più alto in Europa. Un paio di generazioni bruciate dalla crisi. E poi quando chiediamo istruzione gratutita ci dicono che siamo populisti e demagoghi…».

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