martedì 20 febbraio 2018

Guerra. Erdogan bombarda le truppe di Assad che entrano a Afrin. Strage di civili a Goutha: 300 vittime, tantissimi bambini.

Gli Stati Uniti hanno invitato la Turchia a mostrare moderazione, avvertendo che l'offensiva rischia di diluire la lotta contro i terroristi.



La battaglia di Afrin è iniziata e il suo esito è destinato a cambiare il corso degli eventi nella seconda guerra siriana. E ridisegnare le alleanze in Medio Oriente. Il "sultano di Ankara", il presidente Recep Tayyp Erdogan, contro il raìs di Damasco, Bashar al-Assad. E in mezzo colui che dovrebbe essere il "Garante" di ambedue: il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.
Cronaca di guerra. Una guerra internazionalizzata. Ammainate le stinte insegne della pace e violati ripetutamente gli accordi di Astana, Ginevra e quant'altro, gli eserciti di Russia, Turchia, Damasco, Iran e Israele sono pericolosamente giunti sull'orlo dello scontro diretto. La Turchia ha bombardato le aree vicino al valico di Ziyara, a sud-est di Afrin, nel nordovest della Siria, dove è in transito il convoglio di "forze popolari" filo-siriane partite da Aleppo e dirette verso l'enclave curda teatro dal 20 gennaio di una campagna militare lanciata da Ankara e dai ribelli alleati dell'Esercito libero siriano. Anadolu, agenzia di stampa di Ankara, riferisce che dopo i colpi di artiglieri turca i miliziani filo-Assad si sono ritirati a 10 chilometri di distanza.
"I gruppi terroristici pro regime che si sforzano di avanzare verso Afrin hanno indietreggiato di circa 10 chilometri rispetto alla città a causa di spari di avvertimento", afferma Anadolu. La Turchia aveva messo in guardia Damasco da qualsiasi forma di sostegno alla Unità di protezione popolare (Ypg), milizia curda alleata degli Stati Uniti ma che Ankara considera organizzazione terroristica.
Secondo diverse fonti, le milizie alleate di Damasco avrebbero iniziato a convergere verso la regione: "Gruppi di forze popolari siriane cominciano a entrare nella regione di Afrin nel Rif settentrionale di Aleppo", riferisce la tv al-Manar degli Hezbollah libanesi, alleati delle forze di Bashar al-Assad.
Lunedì i media ufficiali siriani avevano annunciato "l'arrivo nelle prossime ore delle forze popolari ad Afrin per sostenere la tenacia degli abitanti contro l'operazione di repressione lanciata il mese scorso dal regime turco".
La notizia dell'ingresso delle milizie alleate di Damasco nella zona di Afrin viene riportata anche dagli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, citati dall'agenzia di stampa tedesca Dpa. Immagini diffuse dalla tv libanese al-Mayadeen mostrano mezzi con le bandiere siriane, con miliziani a bordo e carichi di armi, mentre entrano nell'area di Afrin.
Nelle immagini i combattenti fanno il segno della vittoria. Sull'evoluzione del conflitto è intervenuto nel pomeriggio Erdogan in persona: il presidente turco da un lato ha confermato che l'avanzata dei siriani verso Afrin è stata bloccata ma dall'altro ha lanciato una dura minaccia ad Assad. Erdogan ha dichiarato infatti di aver concordato con il presidente russo Putin e con quello iraniano Rouhani che "le organizzazioni terroristiche pagheranno un alto prezzo per i loro errori". Il riferimento è ovviamente alle organizzazioni curde che Ankara continua a considerare per l'appunto alla stregua di terroristi. L'intervento militare di Ankara sta sottoponendo a un insostenibile sforzo però i rapporti già sfibrati non solo con gli Stati Uniti ma anche con la Russia, alleato chiave di Damasco.
La decisione di Damasco potrebbe deteriorare ulteriormente i rapporti Ankara-Mosca, Erdogan aveva già avvertito il suo omologo russo Vladimir Putin che qualsiasi sostegno dal regime siriano all'Ypg, "avrà delle conseguenze". E l'assedio annunciato rientra nella strategia preventiva di Ankara. Al leader del Cremlino, Erdogan ha ribadito un proposito non negoziabile: "La Turchia non si fermerà". Mosca, dal canto suo, sembra voler dare ragione al presidente siriano, che difficilmente si muove senza una via libera preventivo della Russia, e teme una presenza turca nel paese mediorientale: "Abbiamo ripetutamente affermato - ha dichiarato il ministero degli Esteri, Serghei Lavrov - che sosteniamo pienamente le legittime aspirazioni del popolo curdo". "Riteniamo sbagliato - ha aggiunto riferendosi alla situazione ad Afrin - che qualcuno approfitti delle aspirazioni del popolo curdo per i suoi giochi geopolitici che non hanno nulla a che fare con gli interessi dei curdi e della sicurezza regionale". Tensione tra Ankara e Washington L'operazione "Ramoscello d'ulivo" ha messo a dura prova anche i legami già difficili tra Ankara e Washington, che aveva supportato i combattenti di curdi di Ypg nella sua lotta contro i jihadisti dello Stato islamico in Siria.
Gli Stati Uniti hanno invitato la Turchia a mostrare moderazione, avvertendo che l'offensiva rischia di diluire la lotta contro i terroristi. Per risposta, Erdogan ha minacciato di estendere l'offensiva alla città di Manbij, controllata dalle Ypg. .Nel tentativo di allentare la tensione con un alleato di Washington nella Nato, il segretario di Stato americano Rex Tillerson aveva fatto una visita ad Ankara la settimana scorsa durante la quale aveva tenuto un lungo colloquio con Erdogan e il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu. Ne erano usciti con l'intenzione di lavorare "insieme" in Siria per superare la loro crisi, con "priorità" alla ricerca di una soluzione per la città strategica di Manbij.
II prezzo più alto del conflitto continua comunque a essere pagato dalle popolazioni civili. Per il terzo giorno consecutivo, i raid aerei delle forze lealiste siriane hanno continuato a martellare Ghouta Est. Il bilancio è ormai a 300 morti e l'Onu avverte che la situazione è fuori controllo. L'Unicef ha diffuso un comunicato in bianco a indicare che, per tanto orrore, non ci sono parole: "Nessuna parola renderà loro giustizia".
Il comunicato è stato diffuso dopo i feroci bombardamenti delle forze lealiste sull'enclave ribelle, alla periferia di Damasco. "Nessuna parola renderà giustizia ai bambini uccisi, le loro madri, i padri e i loro cari", ha detto Geert Cappelaere, direttore dell'agenzia Onu per l'area mediorientale. Parole seguite da una pagina in bianco. E nel postscriptum, un'aggiunta: "Non abbiamo più parole per descrivere la sofferenza dei bambini e la nostra indignazione. Coloro che stanno infliggendo queste sofferenze hanno ancora parole per giustificare i loro atti barbarici?". Circa 200 civili, tra cui circa 60 bambini, sono stati uccisi da domenica da violenti bombardamenti "Posso dirvi che è stato un inferno, abbiamo visto bambini morire nelle nostre mani a causa di gravi ferite quando sono arrivati tardi all'ospedale", ha detto alla "Dpa" Mohammed, medico in uno degli ospedali della Ghouta orientale.
Secondo il medico, almeno quattro ospedali della zona sono stati presi di mira lunedì sera. "Perché il mondo è ancora in silenzio? Questo non è un film, questa è la realtà", ha aggiunto Mohammed, auspicando l'intervento della comunità internazionale.
Nell'area è in corso anche una grave crisi umanitaria poiché gli aiuti arrivano con il contagocce e mancano medicinali e generi di prima necessità. "Il governo siriano, sostenuto dalla Russia, sta intenzionalmente colpendo i suoi cittadini della Gohuta orientale.
Non solo questa popolazione soffre a causa di un assedio crudele che si protrae da sei anni, ma ora è anche intrappolata sotto intensi bombardamenti quotidiani che hanno lo scopo di uccidere e ferire civili e che per questo costituiscono evidenti crimini di guerra", dichiara Diana Semaan, ricercatrice di Amnesty International sulla Siria. "Da sei anni la comunità internazionale sta a guardare di fronte ai crimini di guerra e contro l'umanità commessi dal governo siriano nella completa impunità", ha aggiunto Semaan. "Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – sottolinea Semaan -deve far applicare le sue stesse risoluzioni che chiedono la fine degli assedi delle zone abitate dai civili, la cessazione degli attacchi nei loro confronti e l'accesso senza ostacoli degli aiuti umanitari.
Gli stati membri permanenti, Russia inclusa, non dovrebbero impedire l'adozione di misure per porre fine a queste atrocità di massa". Ma questa più che una speranza, è una illusione. Perché in Siria l'umanità è morta.

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