lunedì 16 aprile 2018

Italiani primi in Europa per uso di integratori: peccato che non servano a niente (anzi...)

Il business di questi prodotti vale 3 miliardi solo nel nostro Paese e non stupisce che in commercio ce ne siano oltre 70mila. Ma non esistono evidenze scientifiche che dimostrino siano utili. Di più: spesso si rivelano dannosi.

...Sono solo tre le situazioni accertate in cui l'uso di integratori può essere raccomandato in soggetti a rischio, vale a dire l'acido folico per le donne che hanno programmato una gravidanza; la vitamina D per i neonati allattati al seno, e la vitamina B12 per gli over cinquantenni, che non possono assorbirla naturalmente.

 L'Espresso Gloria Riva

L'industria degli integratori alimentari è in ottima salute, vale quasi tre miliardi di euro e cresce del 6 per cento l'anno. Peccato non serva a migliorare la salute degli italiani, anzi.

L'associazione bolognese Fondazione Gimbe ha pubblicato il dossier: «Alimenti, diete e integratori: la scienza della nutrizione tra miti, presunzioni ed evidenze» per mettere in guardia gli italiani dalle false credenze su diete miracolose e fake news alimentari, facendo luce anche sul grande equivoco degli integratori alimentari - vitamine e minerali, amminoacidi, acidi grassi, fibre ed estratti di origine vegetale - che per lo più sono un grande spreco di quattrini.


In Italia, spiega la ricerca di FederSalus, l'associazione nazionale produttori e distributori di prodotti salutistici, ci sono in commercio 72.540 diversi integratori e nel 2017 il 65 per cento della popolazione adulta ha utilizzato almeno un integratore. Mediamente, nel 2017 ogni persona ha usato 2,5 topologie di integratori per avere più energia (35 per cento), per gestire situazioni specifiche (28 per cento), per prevenire malattie cardiovascolari e osteoarticolari (22 per cento) e per il benessere in generale (15 per cento). L'Italia è in pole position in Europa per il consumo di integratori con il 20 per cento di circa 12 miliardi di consumi complessivi. Seguono Germania al 13,2 per cento, Russia, Regno Unito e Francia (8,9 per cento). Ma i veri amanti degli integratori sono gli americani, con 90 mila prodotti sul mercato e un business da 30 miliardi.

La stessa Fisv, la Federazione Italiana Scienze della Vita che rappresenta diverse associazioni come la Società Italiana di Chimica Agraria, quella di Farmacologia, di Microbiologia Generale e Biotecnologie Microbiche, ha recentemente pubblicato una ricerca da cui emerge che «le evidenze scientifiche sull’uso degli integratori alimentari mostrano che nella stragrande maggioranza dei casi il loro uso non solo è improprio ─ in quanto una dieta bilanciata sarebbe molto più efficace per sanare eventuali carenze di oligoelementi o vitamine ─ ma che spesso questi prodotti si associano ad effetti indesiderati, sia per la concomitanza di patologie o di trattamenti farmacologici con cui possono interferire, sia per i potenziali effetti avversi quando oligoelementi e vitamine vengono assunti in dosi superiori rispetto ai reali bisogni», spiega Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, che prosegue dicendo come la stessa associazione FederSalus abbia recentemente pubblicato linee guida in materia di regolamentazione della comunicazione commerciale per orientare le aziende verso una corretta comunicazione agli operatori sanitari e al consumatore, invitando a diffidare di promesse miracolose e false speranze sui prodotti e smentendo definitivamente che gli integratori prevengono malattie anche molto gravi, fanno dimagrire, sostituiscono i farmaci e i pasti.


A fronte del legittimo entusiasmo dei produttori per un mercato in continua crescita, le evidenze scientifiche sugli integratori vanno in tutt’altra direzione: infatti, la maggior parte dei trial randomizzati su integratori di vitamine e minerali non hanno dimostrato chiari benefici per la prevenzione di patologie croniche. Quindi, negli adulti in salute l’integrazione di supplementi multivitaminici e multimineralici non è raccomandata. Idem per supplementi come betacarotene, vitamina E, vitamina A, che sono generalmente controindicati, in particolare se superano la dose giornaliera raccomandata perché dannosi per l'organismo.

Dopo che una revisione sistematica di 12 trial aveva già concluso che gli integratori multivitaminici che includevano vitamine del gruppo B, vitamina E, vitamina C e acidi grassi omega-3 non hanno alcun effetto sul declino cognitivo negli anziani, la ricercatrice di Harvard Francine Grodstein, che si occupa soprattutto di salute nella terza età, ha posto la pietra tombale con un trial che ha arruolato 5.947 uomini di età superiore ai 65 anni nei quali, dopo 12 anni di follow-up, i soggetti che assumevano multivitaminici giornalmente non mostravano alcuna differenza rispetto al gruppo placebo nel declino cognitivo generale né nella memoria verbale. 
Sono solo tre le situazioni accertate in cui l'uso di integratori può essere raccomandato in soggetti a rischio, vale a dire l'acido folico per le donne che hanno programmato una gravidanza; la vitamina D per i neonati allattati al seno, e la vitamina B12 per gli over cinquantenni, che non possono assorbirla naturalmente.

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