martedì 27 giugno 2017

Canapa. Formula Canapa Campana, come aggregare imprese, fare rete, passare da 20 a 100 ettari coltivati a canapa.


Un’idea che mise radici su quella che chiamarono “rivoluzione verde attraverso la canapa”, sforzo che intendeva e intende ribaltare anche l’immagine concettuale e mediatica sulla Campania che si incentrava sulla terra dei fuochi, quasi come non ci fosse altro: volevano far comprendere che il territorio era capace di far nascere cose nuove, realtà importanti e rivoluzionarie pescando nella sua profonda tradizione.
Oggi la cooperativa ha aumentato di cinque volte la superficie agricola lavorata, gestisce qualcosa come 100 ettari di campi agricoli seminati a canapa, metà di quanta ne viene coltivata in tutta la Campania per questo settore (link all’articolo sul Canapa Day del 20 giugno 2017).


Canapa Oggi: Vediamo di ripercorrere il cammino storico di Canapa Campana, il perché di certe scelte iniziali, le difficoltà.

Valentina Capone: “Abbiamo dato il via durante il 2015 e nel corso di tre annate agrarie c’è stata una crescita esponenziale. Oggi 20 realtà si sono associate alla cooperativa. Abbiamo iniziato dal settore alimentare e da varietà monoiche la Uso 31 e Futura 75 perché avevamo bisogno di una coltivazione gestibile: nel momento di coinvolgere altri produttori, abbiamo scelto la forma cooperativa in modo da dare forma a un polo aggregante. Per fare si che questi operatori fossero stimolati a coltivare la canapa, dovevamo innanzitutto garantire il ritiro del prodotto e dovevamo creare per loro le condizioni di lavorare una pianta che potevano gestire in campo e che non gli dava grosse criticità”.
CO: Quindi, per raggiungere questo scopo avete dovuto compiere una scelta precisa sulle varietà di Cannabis Sativa.
VA: “Prendemmo in considerazione anche varietà diverse da quelle che ho citato prima e con le quali io sto lavorando ma da quest’anno, come le dioiche tipo la Eletta Campana o la Fibranova. Quale era però la criticità del produttore negli anni scorsi? Era quella di andare a effettuare la raccolta perché non c’erano mezzi adeguati essendo queste piante capaci di raggiungere i quattro metri e mezzo o cinque metri d’altezza, almeno su questo nostro territorio. Oltretutto non c’era una filiera avviata, quindi questo voleva dire andare a entusiasmare una persona che però l’anno successivo non era stimolata a continuare perché non aveva avuto una redditività da quella produzione non essendo già strutturato il settore legato alla canapa”.
CO: Il cammino e il successo della vostra formula di aggregazione è andato avanti. Quali problemi operativi avete avuto all’inizio? Eravate in pochi. Come avete reagito?
VA: “Il primo anno avevo in effetti qualche problema in fase di trebbiatura perché coincidendo la raccolta della canapa con quella del grano, dovevamo aspettare che i contoterzisti terminassero di trebbiare il grano: un paio di anni fa gli ettari coltivati proprio a grano erano molto di più rispetto a quelli avviati a canapa, quindi eravamo considerati e tenuti come una sorta di seconda scelta a cui badare dopo. Però siamo riusciti a chiudere dei contratti con dei contoterzisti che ci effettuano determinate lavorazioni proprio in virtù dell’esperienza fatta nel primo anno quando eravamo solo in tre. Con le criticità evidenziatesi abbiamo imparato e nel 2016 siamo riusciti a coinvolgere più persone mettendo a punto tutta una serie di processi e meccanismi che evitassero o mitigassero i problemi riscontrati l’anno precedente”.
CO: Con quale filosofia siete andati avanti e avete fatto tesoro di esperienze positive e negative?
VA: “Al nostro fianco avevamo innanzitutto una persona di grande esperienza nell’agricoltura come Francesco Mugione che ha abbracciato il nostro progetto e che noi abbiamo portato avanti sia perché credevamo fortemente nella potenzialità di questa coltura-cultura, come a me piace definirla, perché la canapa è una pianta sostenibile, aiuta l’ambiente sia nel ciclo vegetativo, assorbe CO2, migliora il terreno, inoltre ci potrebbe aiutare a ottenere tutta una serie di materiali iniziando a sostituire quelli di origine petrolchimica. Poi abbiamo voluto dimostrare con la canapa, pianta tradizionalmente legata al nostro territorio, che quest’area può fornire molto altro: abbiamo voluto sovvertire quello che era un battage mediatico legato alla terra dei fuochi. Abbiamo voluto far capire che da questo territorio possono arrivare delle spinte positive e che può partire quella che definisco una rivoluzione verde rappresentata dalla canapa”.
Valentina Capone: nel 2015 fondò Canapa Campana con Giuseppe Mugione e Simona Falco
CO: Risveglio da una buia consuetudine valorizzando delle ottime idee che nascono dal territorio e che possono essere attuate. Esaminando numeri e traguardi raggiunti, si può affermare che la formula Canapa Campana funziona?
VA: “È una rivoluzione che può risvegliare le coscienze civiche. Facciamo anche tanta formazione nelle scuole perché vogliamo che i ragazzi poi abbiano gli strumenti adatti per scegliere cosa fare del loro futuro. Credo che la nostra formula funzioni perché, come detto prima, siamo voluti partire da un tipo di società, da una struttura cooperativa. Secondo me la cooperazione è il miglior modo per risolvere i problemi che si presentano lungo la strada. Mettersi insieme può aiutare a partire bene e a proseguire meglio. E poi perché abbiamo lavorato creando delle reti, delle sinergie, dei ponti con gli artigiani locali nostri che ci realizzano i prodotti, con le scuole che ci aiutano a ideare e a realizzare progetti. La nostra forza è il non essere impresa individuale o srl, ma voler offrire la canapa a tutti e farla partire facendo decollare realmente il settore che può così contare su una forza produttiva grossa”.
CO: Le criticità oggi nel settore della canapa?
VA: “Prima di tutto credo che servano delle leggi chiare, per esempio sull’alimentare qualche dubbio resta, come per l’utilizzo dei fiori. Vorrei capire che cosa possiamo ricavare da questa pianta, nel senso… possiamo utilizzare i fiori per fare delle estrazioni? Le criticità sono quindi dovute innanzitutto a una zona d’ombra legislativa che ancora esiste. Questo è oggi un settore nuovo, innovativo e che, per forza di cose, non è ancora regolamentato. Mi auguro che chi dovrà normare il comparto della canapa, abbia la lungimiranza di ascoltare gli operatori di settore perché non vorrei che ci trovassimo all’improvviso con delle leggi che fissassero paletti entro i quali non riusciremo più a muoverci. Quindi i legislatori ascoltino chi lavora nel settore perché le norme devono essere dettate da concretezza: le potenzialità e le criticità possono essere evidenziate e raccontate solo da chi lavora nel comparto”.
CO: E sugli impianti di trasformazione primaria e di prima lavorazione in Campania? Che si sta facendo?
VA: “L’unico impianto di trasformazione più vicino è quello di Rachele Invernizzi, la Southemp a Taranto, ma a noi portare lì il materiale, le paglie, non conviene, è troppo oneroso. Il gioco non vale la candela. Ci auguriamo che nasca una filiera importante e fattiva. A questo sto lavorando e si sta andando avanti, in modo da ottenere una trivalenza anche dalla bacchetta di canapa. Sono in contatto con delle persone, abbiamo fatto un patto di riservatezza anche per una nuova tecnologia da applicare alla canapa in modo da ottenere dalla trasformazione delle bacchette, il tessile e il canapulo per la bioedilizia. È un percorso che va strutturato, ci sono degli step da rispettare. Ci vuole ancora del tempo. L’importante è avviare il processo per costruirlo insieme. Proprio come abbiamo fatto per lo sviluppo di prodotti alimentari da canapa, entrare quindi in stretto contatto anche con chi dovrà essere il nostro cliente potenziale, con coloro che dovranno assorbire quelle materie. Un punto fermo della mia visione è quello di riuscire, un domani, a pianificare le produzioni a monte della campagna in base ad accordi chiusi. Come funziona per gli altri settori, vorrei lavorare diversificando le produzioni dei nostri associati, ma questo può avvenire solo se riusciamo a chiudere dei contratti di fornitura prima di iniziare l’annata agraria. In questo modo si lavorerebbe davvero bene, pianificando, diversificando, riuscendo a capire, come conseguenza, quanti ettari dedicare all’alimentare e quanti ad altre vocazioni”.

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