domenica 29 ottobre 2017

Un Renzi sul viale del tramonto non commuove nessuno…

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Unendo i puntini su un foglio di carta si ottengono comunque delle figure. Magari orrende e prive di senso, ma si ottengono.
Se quindi proviamo rintracciare un filo logico nella serie di “incidenti” che va inanellando Matteo Renzi negli ultimi mesi l’immagine che balza agli occhi è quella del cupio dissolvi, quasi un tocco di Mida al contrario.
La sortita contro il rinnovo dell’incarico a Ignazio Visco, come governatore della Banca d’Italia, ha avuto l’efficacia militare di un attacco kamikaze finito in mare, anziché sulla flotta avversaria. Un attacco proseguito anche dopo il fallimento manifesto – quando Gentiloni aveva ormai “proposto il rinnovo” in consiglio dei ministri e Mattarella preparava la penna per la firma – costringendo gli ormai fedelissimi (Lotti, Martina, Boschi e Delrio) alla penosa presentazione di certificati medici o “precedenti impegni” per giustificare l’assenza.
E’ solo l’ultimo episodio lungo una nutrita serie di sconfitte o figuracce, al punto che l’annunciata batosta nelle elezioni siciliane (dove il Pd rischia di arrivare addirittura quarto, con meno voti persino degli odiatissimi rivali del “centrosinistra classico”) si profila come il big bang che potrebbe costringerlo in una posizione insostenibile.

E non convince molto neanche l’ipotesi che questo andare a testa bassa contro Visco e Bankitalia sia l’estremo tentativo di togliere spazio ai Cinque Stelle recitando – anche lui – la parte del tribuno “che difende i risparmiatori”. Le manovre intorno a Banca Etruria e le altre banche, responsabili della truffa ai danni dei correntisti abbindolati o costretti a sottoscrivere “obbligazioni senza garanzia”, sono troppo recenti e tutti ricordano il ruolo avuto dallo stesso Renzi e dalla Boschi nella difesa dei truffatori. Pensare di rifarsi una verginità in materia provando a scaricare ogni responsabilità sulla vigilanza poco attenta di Via Nazionale – che può comunque vantare il “merito” di aver denunciato al situazione, sia pure in ritardo – non sembra la pensata degna di uno statista.
Anche l’imposizione del voto di fiducia sul rosatellum, che in altri momenti sarebbe passata tra mugugni senza conseguenze, ha provocato l’uscita dal Pd di Pietro Grasso, presidente del Senato ed ex capo della Direzione nazionale antimafia. Un nome che elettoralmente pesa poco, ma funziona da punta di un iceberg che raccogli tutto il personale istituzionale di alto livello.
Per non parlare della tristissima esperienza del “treno” con cui ha iniziato a girare per l’Italia. Presto sparito dalle cronache, costrette in genere a registrare la pessima accoglienza ad ogni fermata.
Inutile scomodare i cosiddetti “poteri forti”, che sono invece quelli che l’avevano scelto come caterpillar per smantellare la Costituzione e il sistema integrato welfare-diritti. Su questo fronte Renzi può presentare infatti “grandi successi” (Jobs Act, “buona scuola”, tagli alla spesa pubblica, specia sanitaria, ecc), anche se ha fallito quella principale (la “riforma costituzionale”).
Non è da lì insomma che gli vengono gli attacchi. Semmai, proprio a far data dal 4 dicembre, quegli stessi “poteri” sembrano essersi accorti che il loro “giovane campione” è precocemente imbolsito. La tattica strafottente che fin lì gli aveva permesso di eseguire gli ordini più impopolari si è rapidamente introvertita in avventatezza; la capacità di aggregare pattuglie ansiose di salire sul carro del vincitore si è rovesciata in stimolo alla fuga dal campo perdente; l'”io contro tutti”, la rottamazione come “grande idea dirinnovamento”, si è trasformato in progressiva solitudine.
Su questa via, si diceva, le elezioni siciliane possono diventare la classica goccia che fa traboccare il vaso. E i sondaggi negativi, che alimentano proiezioni terrificanti in termini di seggi alle politiche di primavera, potrebbero consigliare un cambio di cavalo in corsa. In fondo le sue truppe sono berlusconianamente tenute insieme dall’avidità di potere, non certo da disegno politico di lungo periodo; dunque, se “il capo” non può più garantire successi elettorali, seggi e poltrone, diventa rapidamente inarrestabile la fuga verso chi può dare maggiori garanzie.
E’ un ragionamento che vale appunto anche per i “poteri forti”. Se questo contafrottole non convince più nessuno, forse conviene cambiare cavallo. In fondo c’è una squadra che riesce a fare le stesse cose senza alzare troppo casino…

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