mercoledì 29 novembre 2017

’77 no commercial use Cosa è stato il ‘77? Come lo si può narrare? Quanto e come opera nelle nostre vite? Il film di Luis Fulvio “’77 no commercial use” – di nome e di fatto perché non avrà distribuzione commerciale ma circolerà solo in festival e in spazi liberati – presentato alla 35esima edizione del Torino Film Festival nella sezione Italiana.doc, monta con le immagini di archivi inediti gli eventi di quell’anno.





 dinamopress Tania Rispoli
Prendiamo un’immagine del 2 febbraio del ’77: le squadre speciali sparano colpi di mitra sulla manifestazione di studenti che hanno appena dato fuoco alla sede di neofascisti in via di Sommacampagna. Paolo cade ferito a terra, Daddo torna indietro per aiutarlo e rimane ferito a sua volta
. La foto scattata da Tano D’Amico e sepolta per vent’anni racconta una vicenda fatta di amicizia, solidarietà, supporto e poi manifestazioni, insubordinazione, armi. Non c’è ombra di violenza in quell’immagine, nonostante Daddo tenga in mano due pistole[1].

Dall’altra parte troviamo la storia di un’altra foto, accuratamente selezionata fra le tante scattate a Milano il 14 maggio del 1977: il ragazzo colto nell’atto di sparare all’agente Custrà. Storia tanto più significativa in quanto rievocata dal fotografo Raffaele Ventura, tuttora in esilio dopo essere stato condannato pesantemente per “concorso improprio” per non aver impedito quell’azione. Simbolo degli “anni di piombo”, anche quell’immagine taglia una vicenda, il contesto in cui è stata scattata: rappresenta un singolo isolato che punta una pistola verso la polizia, mentre la strada attorno a lui è quasi vuota[2].
Coesistono nello scatto fotografico temporalità molto diverse: il passato dell’evento che la foto racconta in un istante, il futuro reale che ne è derivato (nel caso di Paolo e Daddo l’arresto, le decine di manifestazioni che ne sono seguite; nel caso milanese la morte e la repressione diffusa e giustificata a livello di massa con quell’isolamento del protagonista), quello anteriore che si staglia su un passato concluso nei termini di possibilità e il presente di chi guarda la foto e che al limite ricorda, rivive o attualizza.

Proviamo ora a pensare il ’77 interamente al presente. Saremmo immessi in un flusso di immagini sequenziali, senza alcuna voce narrante a guardare dall’interno la cronologia degli eventi e insieme le loro tonalità emotive, i discorsi, le parole, la musica, i film. Questo è l’esperimento del cinema documentario di Luis Fulvio che in ’77 no commercial use riporta in superficie un archivio potentissimo, in larga parte inedito, montato in modo appassionato, ma senza alcun egocentrismo o velleità autoriale. Cosa è stato il ‘77? Il potere lo bollò come l’anno del progetto di insurrezione armata contro lo Stato, mentre il regista suggerirebbe di scoprirlo da sé, leggendo, guardando, ascoltando. Ci si immerge completamente per scoprire quel senso di trasformazione integrale che aveva coinvolto i modi di fare politica, le forme di organizzazione della vita, del lavoro, della socialità, della sessualità, della cultura. E se fu una modificazione lenta che aveva agito per un ventennio dalle prime lotte degli anni ’60 alla Fiat all’autunno caldo del 1969, almeno a partire dalla crisi del ‘73 aveva coinvolto altri settori oltre la fabbrica, diffondendosi nelle scuole, nelle università, nelle metropoli.
Il film restituisce la complessità di un tentativo di rivoluzione. Scorre gli eventi dalle proteste contro la riforma Malfatti e il ferimento di Bellachioma a opera di fascisti che innestano l’occupazione della Sapienza dal 1 febbraio alla cacciata del segretario della CGIL Lama il 17, dall’uccisione del militante di Lotta continua Francesco Lo Russo l’11 marzo con gli scontri bolognesi che ne seguirono all’assassinio il 12 maggio su ponte Garibaldi di Giorgiana Masi, arrivando infine al convegno di fine settembre sulla repressione nel Palasport di Bologna. Mostra il volto trucido dell’ordine pubblico di Cossiga e la moltitudine che si riversava nelle piazze, con immagini inusuali, fuori repertorio, frutto di un lavoro incredibile negli archivi personali e in quelli di Anomalia, Radio Onda Rossa, Rai, Cineteca italiana ecc. E ancora si concentra sui telegiornali, sui modi in cui il’77 veniva raccontato con gli strumenti del potere, sulle pretese di chi si sentiva «dalla parte della legge, del diritto e della ragione» (dichiarazione di Lama dopo la contestazione). Ma non tralascia neppure una rivista, un giornale, un foglio usati come strumenti di agitazione e riflessione (“Primo Maggio”, “Rosso”, “Operai e Teoria”, “Wow”, “Osak”, “A/traverso”, “Soffiare sul fuoco”, “Cospirazione” ecc.), facendo emergere il tessuto della produzione autonoma di discorso da parte di coloro che a quel potere si opponevano. Un’intera generazione si rivelò in quell’anno un vero e proprio contro-potere in grado di modificare la percezione collettiva della politica e della vita.

Il film non si limita a raccontare i fatti, ma punta alla composizione di una big picture trasversale, generale, globale, non solo in omaggio alla scuola di Ghezzi e Fuori Orario – programma, che assieme alla Cineteca italiana sono le due esperienze lavorative dalle quali il regista proviene – ma per motivi che sono interni alla stessa storia del ’77: l’inseparabilità di quelle occasioni singolari da un senso di trasformazione diffuso, vale a dire la fuoriuscita della lotta di classe dai luoghi tradizionali in cui si esprimeva.  Lo raccontano nel film meglio di altri Franco Basaglia, che contesta l’uso limitativo del termine antipsichiatria quando questo non coglie il suo tentativo esplicito di intervenire sulla scienza come se fosse politica, oppure Primo Moroni, che in un frammento di intervista nella sua libreria Calusca nota come in quell’anno si leggano non più solo i libri di teoria dello stato, ma anche libri sulla sessualità e l’alimentazione. E si riscopre nel ‘77, accanto alla politica, la poesia.
La giuria del Festival di Cannes nel maggio di quell’anno fu affidata a Rossellini, che morì pochi giorni dopo, e che osservò come la crisi generale si riflettesse anche nella cinematografia. Su questa scia rende vivido il movimento tellurico e l’anticipazione della catastrofe l’omaggio a Herzog (La Soufrière), con il quale Luis Fulvio ha scelto di aprire il suo documentario. Non si poteva fare a meno di ricordare (o far vivere al presente attraverso immagini) come ogni tentativo rivoluzionario sia stato accompagnato da una modificazione del linguaggio, del teatro, della cultura, del cinema, e persino dei corpi (vediamo nel film le prime operazioni chirurgiche di intervento sui propri organi genitali in nome di un nuovo rapporto tra corpi e desideri). Sono una miriade i film citati, da Racconti ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg fino all’Esorcista 2 di John Boorman, da News from Home di Chantal Akerman fino a Coatti di Stavros Tornes o Toute révolution est un coup de dés di Straub-Huillet.  Il ’77 fu una lotta reale concreta che sferrò un attacco senza quartiere all’immaginario complessivo. Questo è lo spirito del film che affronta in modo non banale anche gli aspetti più controversi, come si mostra con uno dei primi documentari di Claudio Caligari, La parte bassa: una militante che aveva partecipato all’invasione della Scala di Milano del 1976 prende parola in assemblea e afferma la necessità della lotta armata. La pratica estrema della violenza non è una scelta soggettiva di singoli scalmanati, ma oggetto interno alla discussione collettiva e una vera e propria pratica di massa.

Perché il 1977 fu un anno di freaks, come vediamo in una fugace sequenza, quasi fantasmatica, del capolavoro di Todd Browning, a cui fanno riferimento i Ramones con la canzone Pinhead che chiude il film con lo storico concerto di capodanno del 1977. Un doveroso tributo a quello che fu anche l’anno di esplosione del punk, il cui no future – ci pare dire il film – vuol dire non tanto che ogni progetto di emancipazione o di trasformazione del reale con quell’anno si chiuda definitivamente, come vuole la vulgata conservatrice, ma che l’unico modo per accostarsi al ’77 sia quello, semplicemente, di continuare a vederlo ancora oggi al presente delle sue immagini.
[1] AA.VV., Daddo e Paolo. L’inizio della grande rivolta. Roma, piazza Indipendenza, 2 febbraio 1977, Derive Approdi, Roma 2012
[2] S. Bianchi, Storia di una foto. 14 maggio 1977, Milano, via De Amicis. La costruzione dell’immagine icona degli «anni di piombo». Contesti e retroscene, Derive Approdi, Roma 2011.

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