controlacrisi Autore:
paolo ciofi
È
stata una grande vittoria della democrazia, e dunque della
Costituzione, che fonda sul lavoro e non sul capitale la Repubblica
italiana. Un punto da non dimenticare mai, perché si tratta di una
conquista di portata storica che gli emissari del capitale vorrebbero in
ogni modo rottamare. Questa, al fondo, è stata la vera materia del
contendere.
La controriforma Renzi-Boschi, che il popolo italiano ha
avuto il coraggio e la forza di cancellare nonostante una campagna che
ha seminato divisioni, paure e ricatti, tendeva precisamente a
conformare l’ordinamento costituzionale sugli interessi dell’oligarchia
finanziaria. E quindi a sterilizzare i diritti, trasformandoli in
concessioni e bonus nella disponibilità di chi detiene il potere. Aver
respinto questo tentativo di retrocessione storica, che riporta il
lavoro da fondamento della Repubblica su cui si innalzano i principi di
libertà e uguaglianza a pura variante del mercato, e di conseguenza le
persone che per vivere devono lavorare a merci in vendita al minor
prezzo per chi le compra, è stato uno straordinario successo da non
sottovalutare, che lascia aperta la prospettiva di un possibile
cambiamento.
Ma qui cominciano i problemi, perché è del tutto
evidente che il fondamento del lavoro viene meno, e con esso i diritti
sociali che ne derivano a cominciare proprio dal diritto al lavoro, se
le lavoratrici e i lavoratori, espulsi dal sistema politico, non hanno
alcun peso nell’organizzazione della società, sebbene siano gli
effettivi produttori della ricchezza reale. Questa è oggi la situazione,
perché i partiti - come già aveva visto Berlinguer -, da strumenti di
partecipazione per consentire ai cittadini di «concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale», sono stati trasformati
in macchine di potere e di clientela che occupano lo Stato e tutte le
istituzioni, senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani
emergenti. Da tempo ormai la classe lavoratrice del nuovo secolo, nella
sua complessa e inedita configurazione indotta dalla rivoluzione
digitale e scientifica, non ha rappresentanza politica né
rappresentazione culturale e mediatica. Contestualmente è scomparsa la
sinistra, una sinistra che non sia “sinistra” del capitale.
In
queste condizioni, al di là delle contingenze del momento, il tema
politico cruciale che ci squaderna la vittoria del No, con la diffusa
volontà di partecipazione che esprime, è oggi quello della costruzione
della sinistra come espressione delle lavoratrici e dei lavoratori del
nostro secolo, una formazione politica che affondi le sue radici nel
variegato mondo del lavoro, e che sia in grado di rappresentarsi e di
agire come alternativa al dominio del capitale finanziario. Alla
vittoria del No hanno concorso diversi fattori, anche contradditori, che
andranno con attenzione indagati. Ma oltre alla diffusa volontà di
conservare la Costituzione come ancora di salvezza nella tempesta di una
crisi senza fine, non c’è dubbio che è stata decisiva la spinta dei
giovani condannati all’emarginazione senza prospettive e di coloro che
soffrono per la mancanza di lavoro e l’insufficienza di reddito.
Non
solo un voto generazionale. Anche un voto di classe, sia pure
istintivo. Una ribellione, per ora contenuta sul terreno democratico,
contro una condizione sociale molto grave di cui il ceto politico
dirigente mostra di non avvertire la drammaticità e la sofferenza.
Contro politiche distruttive che a dispetto della Costituzione non
tutelano il lavoro e neanche il risparmio, messe in atto dal governo con
il Jobs Act, l’aziendalizzazione della scuola, la privatizzazione della
sanità, la svendita dei pubblici servizi. Contro un modo di fare
politica clientelare e degradante, di cui un fulgido esponente è il
governatore della Campania.
Il voto ha messo in luce il distacco
siderale tra la condizione reale del Paese e l’autoreferenzialità della
classe dirigente di governo, abbacinata dalle presunte virtù del
mercato. I voucher sono il simbolo perverso della mercatizzazione
renziana, uno sfregio alla dignità della persona e alla Costituzione. E
quando il presidente del Consiglio dichiara che «difendere l’articolo 18
è come mettere il gettone nell’iphone» dimostra anche che l’arroganza e
la stupidità non di rado vanno a braccetto. Ma la doppiezza, il degrado
della politica e la corruzione dei principi è tale per cui oggi un
partito che si dichiara di sinistra può porsi l’obiettivo di rottamare
una Costituzione che a fondamento della Repubblica pone il lavoro. Senza
vergogna. E senza che un simile trasformismo retrogrado e reazionario
abbia suscitato un moto di ribellione tra molti intellettuali,
scienziati della politica e della comunicazione. Abbiamo persino sentito
dire che «se cade Renzi cade la sinistra in questo Paese». Ma siamo
ancora in attesa che il bravo Santoro ci spieghi come sia possibile far
cadere una sinistra che non c’è.
Secondo lo schema di Robert D.
Kaplan, analista del Washington Post, il neo costituzionalista di
Rignano sull’Arno bocciato dal popolo sarebbe un uomo «dell’età
digitale, dove nulla è verificato, non esiste contesto e proliferano le
bugie». Non so dire se sia vero, ma è senz’altro vero che la classica
distinzione destra- sinistra non esiste più, è morta e sepolta. Da un
lato, lo spostamento delle decisioni politiche verso le conglomerate
multinazionali e i sistemi di governance tecnoburocratici asserviti al
capitale come quelli dell’Unione europea, dall’altro, la cancellazione
del lavoro come soggetto politico libero e autonomo hanno generato una
crisi devastante della democrazia rappresentativa e la formazione di
sistemi politici monoclasse, nei quali si contendono il potere diverse
frazioni - sempre più ristrette - della borghesia dominante. La
“sinistra” dei Clinton e degli Obama, dei Blair e degli Schröder, degli
Hollande, dei Renzi e compagnia, con accentuazioni più o meno marcate
appare oggi per quello che effettivamente è: una proiezione
dell’oligarchia finanziaria dominante, organica alla crisi di sistema
che stiamo attraversando.
Dunque, il primo requisito della
sinistra da costruire dopo il referendum è che essa deve collocarsi in
modo chiaro e netto, senza ambiguità e senza trasformismi, dalla parte
delle lavoratrici e dei lavoratori del nostro tempo, di tutti coloro che
soffrono per le conseguenze della crisi. In modo da rivitalizzare la
democrazia e da dare forma, attraverso un’ampia partecipazione dal
basso, non solo a una rappresentanza efficace nelle istituzioni, ma
anche a un’organizzazione a rete capace di penetrare nella società e di
diffondersi nei territori. Un patrimonio prezioso è costituito dalle
migliaia e migliaia di persone che si sono conosciute e insieme hanno
generosamente lavorato nei comitati per il No. Occorre trovare le forme
organizzative e culturali per non disperderlo e valorizzarlo.
Ma
questo non basta. Una sinistra moderna, in grado di incidere nella
condizione umana e sociale di milioni di donne e di uomini, nasce e si
sviluppa se abbandona ogni forma di subalternità culturale e fa
chiarezza sulla sua missione e sulla sua funzione storica. Questo è il
secondo, indispensabile requisito. Una sinistra oggi ha senso se si
propone di cambiare la società, vale a dire di fuoriuscire da questo
sistema economico-sociale, generatore di oppressione e di inaudita
violenza, che sfruttando senza limiti gli esseri umani e la natura sta
distruggendo il pianeta e alimenta i germi di una nuova guerra mondiale.
È un’urgenza cui fare fronte.
In assenza di una sinistra che
intenda cambiare la società, e lotti per questo obiettivo, masse enormi
di esclusi sofferenti per le piaghe della crisi, tra i quali fasce
crescenti di ceto medio, vagano in cerca di lavoro e di dignità, di
diritti e di rappresentanza. Uno stato delle cose in cui trovano terreno
fertile le destre nazionaliste e fasciste, e in cui si fanno largo i
miliardari in cerca di una base di massa: se non cambi il sistema, il
sistema produce Trump e i suoi simili. Il capitale non è un tecnicismo
asettico, non è una cosa e tantomeno un algoritmo, ma un rapporto
sociale che si regge sullo sfruttamento organizzato di enormi masse
umane. Il problema è di riconoscerne il meccanismo di funzionamento,
prospettando un’alternativa a questo capitalismo che ci sta affondando
nelle acque putride della sua crisi. Per questo è necessario avere lo
sguardo lungo sul futuro e in pari tempo essere in grado di intervenire
nelle laceranti contraddizioni del presente, ripristinando un’analisi
critica della realtà.
Non sono astrazioni. Dopo aver respinto gli
assalti distruttivi alla Costituzione, adesso c’è un passo avanti da
compiere: riappropriarci di questo nostro patrimonio comune, e metterlo a
frutto. È un passaggio decisivo per la costruzione di una sinistra
nuova, che punti a un effettivo cambiamento. La Costituzione, infatti,
non è una reliquia del passato, o il simbolo di una conquista storica
cui rendere omaggio. È molto di più, anche se a sinistra i suoi principi
sono stati troppo a lungo trascurati. È la bussola che indica il
percorso di un progressivo cambiamento attraverso l’espansione della
democrazia, e al tempo stesso il progetto di una civiltà più avanzata,
che consente di andare oltre le colonne d’Ercole dell’ordinamento
capitalistico.
Recuperare questo enorme potenziale innovativo
oggi è indispensabile se si vuole uscire dalla crisi e costruire una
sinistra di alternativa. Ricordiamoci che questa Costituzione garantisce
a tutte e a tutti tutte le libertà. Ma non la libertà di recare danno
attraverso l’iniziativa economica privata - che non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale - «alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana». Perciò sono previsti limiti alla proprietà, «allo scopo
di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». E
si stabilisce anche che «comunità di lavoratori o di utenti» possano
gestire imprese che si riferiscano a servizi pubblici, a fonti di
energia o a situazioni di monopolio.
Questa è la Costituzione che
va ben oltre il principio liberale dell’uguaglianza davanti la legge.
Giacché stabilisce - come sappiamo - che per assicurare l’esercizio dei
diritti di libertà e il ricambio sostanziale della classe dirigente è
indispensabile «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese».
Bastano queste poche citazioni
per mettere in evidenza che nello stato di crisi in cui versano l’Italia
e l’Europa la lotta per l’attuazione della Costituzione, nei suoi
principi e diritti fondamentali, consente di avere un punto di
riferimento certo, e al tempo stesso di fare maturare le condizioni per
una sinistra di classe, popolare e di massa. In conclusione, la lotta
per l’attuazione della Costituzione è il terzo, ma non ultimo, requisito
della sinistra da costruire. Un fronte da aprire adesso.
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giovedì 8 dicembre 2016
"Dopo il referendum il primo connotato della sinistra deve essere collocarsi dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro tempo". Intervento di Paolo Ciofi
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