domenica 15 aprile 2018

Atto di guerra controllato ma non rassicurante.

L'attacco in Siria non ha provocato morti. Ma il coordinamento e lo scambio di informazioni di russi e americani dimostra quanto i militari temano l'escalation. Scontro all'Onu Usa-Russia.


La portata degli accadimenti che hanno segnato le ultime 24 ore in Siria vanno ben oltre il tormentato scenario mediorientale e danno conto di qualcosa che ha una portata storica, che supera anche la "crisi dei missili" a Cuba ai tempi dell'Urss di Kruscev, quando alla Casa Bianca era insediato John F. Kennedy. Perché nella notte di ieri a confrontarsi, direttamente e non per procura, sono state le due più grandi potenze militari al mondo: Stati Uniti e Russia.
Per averne contezza non si deve restare in superficie, facendo la conta delle vittime o dei bersagli centrati. Perché ciò che si è consumato nella notte di venerdì in Siria racconta di come si fa la guerra nell'era nucleare.

Non è questione di numeri, che pure vanno ricordati: gli Usa hanno lanciato 120-130 missili Tomahawk da una nave da guerra (da due, secondo Mosca) e da bombardieri B-1B. Così ha lasciato intendere James Mattis, capo del Pentagono, che ha rivelato che è stata utilizzata una quantità doppia di razzi rispetto ai 59 dell'attacco alla Siria del 2017.
La Francia ha lanciato missili dai cacciabombardieri Rafale, la Gran Bretagna missili Storm Shadow da 4 Tornado decollati dalla base Raf (Royal Air Force) di Akrotiri a Cipro. Probabilmente sono entrati in azione anche i sommergibili britannici che nei giorni scorsi, secondo fonti di stampa, erano stati spostati nelle acque di fronte alla Siria.
Sono stati colpiti un centro di ricerca scientifica a Damasco, un impianto di stoccaggio di armi chimiche a ovest di Homs, un sito di stoccaggio di attrezzature chimiche e un posto di comando nei pressi di Homs. Secondo fonti siriane, a Homs sarebbero stati feriti 3 civili. sarebbero stati lanciati tra i 100 e i 120 missili da crociera. Secondo il generale russo Serjey, 71 dei 103 missili lanciati sono stati intercettati. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha invece indicato 65 colpi non andati a buon fine. Smentisce il Pentagono: tutti i colpi andati a buon fine. Nessuna vittima, comunque. Anche perché — fa sapere sempre l'Osservatorio — le basi colpite erano state completamente evacuate tre giorni prima, ad eccezione della presenza di alcune guardie.
Aggiunge l'ambasciatore americano a Mosca Jon Huntsman che gli Stati Uniti hanno informato la Russia dell'imminente attacco, per evitare vittime tra i militari e la popolazione civile. E lo hanno confermato anche Francia e Gran Bretagna. Mentre il Cremlino continua a negare. Non siamo alle solite schermaglie dialettiche, alla "guerra delle parole" utile più per parlare alle rispettive opinioni pubbliche che per far comprendere il pericolo scampato, almeno al momento.
L'attacco di venerdì notte in Siria "ha azzoppato il programma di armi chimiche" di Damasco e indebolito la possibilità di futuri attacchi chimici da parte del regime di Assad: lo affermano i vertici del Pentagono, sottolineando come i bombardamenti porteranno il programma di armi chimiche siriano indietro di anni. Pronta la replica di Mosca. "L'obiettivo dei raid degli Usa e dei loro alleati in Siria è quello di rianimare con la forza la Primavera araba e cacciare Assad", afferma la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Lo riporta l'agenzia Interfax. "Dal punto di vista diplomatico è certamente un colpo inflitto non solo su un punto geografico del mappamondo, è un colpo arrecato al diritto internazionale e all'intero sistema dei rapporti internazionali", ha spiegato la portavoce.
Lo scopo è impossibile spiegarlo dal punto di vista della logica e dell'efficacia. Lo si può solo spiegare con il ritorno del concetto 'Assad se ne deve andare' e dell'idea della Primavera araba che si voleva mettere in atto alcuni anni fa, e che ora si vuole rianimare con la forza". Donald Trump non ci sta, e da "commander in chief" proclama su Twitter: ""L'attacco è stato eseguito perfettamente. Missione compiuta". E ancora: "Sono così orgoglioso delle nostre forze armate che, presto, dopo aver speso miliardi di dollari totalmente approvati, saranno le migliori di sempre", "cinguetta" Trump congratulandosi per i raid di questa notte in Siria. "Non ci sarà nulla o nessuno lontanamente vicino" alle forze armate americane, aggiunge.
Ma questo ping pong di proclami, di dichiarazioni trionfalistiche e di risposte pungenti, serve a coprire ma non a cancellare la vera posta in gioco nel confronto tra americani e russi, che va ben al di là del destino di Bashar al-Assad e della stessa spartizione della Siria. Perché la guerra, nell'era nucleare, non è solo morti ma capacità di ridefinire i rapporti di forza, che passano per le sperimentazioni delle armi di nuova generazione. Se vista in questa ottica, la querelle sui missili andati a segno o intercettati, si trasforma in qualcosa di molto più serio e strategico: misurare, cioè, l'efficacia dei sistemi missilistici e di quelli di intercettazione.
Non è decisivo sapere cosa c'era dentro i tre target inquadrati dal Pentagono. La cosa davvero decisiva è sapere quanti di quei 120 missili hanno effettivamente centrato gli obiettivi e quanti, invece, sono stati abbattuti: è attorno a questi dati che si potrà misurare vincitori e vinti di questa prova di forza. A compimento della giornata, c'è chi ipotizza una "rappresaglia condivisa" da Washington e Mosca. Ma se anche fosse così, sarebbe la riprova non di una sceneggiata ma dell'esatto opposto: la consapevolezza che stavolta c'era il rischio di un confronto senza rete America e Russia, allargato ad altre due potenze nucleari: Francia e Gran Bretagna. Nasce da questa consapevolezza il lavorio sotterraneo che nei giorni e nelle ore precedenti l'attacco missilistico, ha visto impegnati i vertici militari delle due potenze.
Quando si è a un passo da un confronto diretto, il dilettantismo di improvvisati "commander in chief", i loro roboanti proclami, vanno neutralizzati o comunque rimodulati da chi sa cosa significhi una guerra diretta nell'era nucleare. Una catastrofe irrecuperabile. Per evitarla, l'ex generale John Mattis, a capo del Pentagono, ha imposto ai falchi dell'amministrazione Trump, il consigliere presidenziale alla Sicurezza nazionale John Bolton e il neosegretario di Stato, l'ex direttore della Cia, Mike Pompeo, una delimitazione dell'operazione e una condivisione d'informazioni con i Russi. Scampato pericolo, dunque. Ma averne la percezione è propedeutico per non abbassare la guardia.
Al momento, Vladimir Putin si è limitato a parlare di "atto di aggressione" e ha chiesto, e ottenuto, una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, convocato alle ore 17 italiane Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, commentando i raid in Siria, ha ricordato che "c'è l'obbligo, in particolare quando si tratta di questioni di pace e sicurezza, di agire coerentemente con la Carta delle Nazioni Unite e con il diritto internazionale, che sono molto chiari su questi temi".
"Il Consiglio di sicurezza ha la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali", ha precisato, ribadendo il suo "invito ai membri del Consiglio a unirsi e ad esercitare tale responsabilità". Anche Teheran, l'altro grande alleato di Assad, ha risposto duramente. Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha affermato che "gli attacchi di Usa e alleati porteranno distruzione e devastazione in Medio Oriente". E la guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei ha definito Trump, Macron e May "criminali".
"Le azioni degli Usa e dei loro alleati non resteranno senza conseguenze", rilancia, in questo continuo ping pong dialettico, l'ambasciatore russo a Washington Anatoly Antonov. L'impressione di molti osservatori però è che gli obiettivi da colpire siano stati condivisi con Mosca, non fosse altro che per evitare incidenti e non colpire personale o postazioni russe in Siria. Ma sul palcoscenico siriano si muovono anche attori regionali, statuali e non, che potrebbero forzare la mano, sperando di trarne vantaggi per i propri disegni di potenza: la Turchia, l'Iran, l'Arabia Saudita, le milizie jihadiste, ciò che resta dell'Isis.
Portare alle estreme conseguenze il confronto tra russi e americani rientrerebbe, in dimensione geopolitica, nella logica del "tanto peggio, tanto meglio". Nel frattempo, è scontro totale tra Stati Uniti e Russia durante il Consiglio di sicurezza dell'Onu riunito d'urgenza dopo l'attacco notturno di Usa, Regno Unito e Francia in Siria. Mosca ha accusato Washington di "minare l'autorità del Consiglio" e, ha aggiunto l'ambasciatore russo Vassily Nebenzia, "è il momento che gli Usa imparino che il codice internazionale di comportamento sull'uso della forza è regolato dalla Carta delle Nazioni Unite". L'ambasciatrice americana Nikki Haley ha però subito chiarito che "il tempo delle parole è finito" e che se Bashar al-Assad userà ancora le armi chimiche, "gli Stati Uniti hanno il colpo in canna e sono pronti a sparare". Haley ha parlato di una "campagna di disinformazione" della Russia: "Ma le foto dei bambini morti non sono fake news".
Da New York a Bruxelles. "Tutti gli alleati della Nato hanno espresso il loro pieno sostegno all'azione" militare congiunta di Usa, Francia e Gran Bretagna, "che aveva l'intenzione di ridurre la capacità delle armi chimiche del regime siriano e come deterrenza rispetto a nuovi attacchi chimici". Così il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al termine della riunione con gli ambasciatori. I prossimi giorni diranno se la reazione russa rimarrà circoscritta al campo della politica e della diplomazia o si spingerà oltre. E lo stesso vale per l'Iran, alleato sì della Russia in Siria ma attento a salvaguardare i propri interessi nell'area. Interessi che Israele e Arabia Saudita vedono come una minaccia diretta. Non è mistero che Gerusalemme e Riyadh avrebbero preferito un'azione più pervasiva in Siria, indirizzata non solo contro gli arsenali chimici di Assad ma estesa ai centri di comando dei Guardiani della Rivoluzione.
Si spiega così la freddezza con cui i vertici politici dello Stato ebraico hanno commentato la "missione compiuta" americana. Una missione monca, vista da Gerusalemme. E dal Regno Saud. Ma nell'era nucleare, la guerra può essere combattuta su terreni altri dai tradizionali campi di battaglia. Resta il fatto che nella notte siriana a trovarsi di fronte, senza Paesi terzi, siano stati Americani e Russi. Se fosse stato scontro, sarebbe stato l'inizio della Terza guerra mondiale.

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